
Riesumo queste osservazioni, sollecitato dalla lettura di un articolo di Giancarlo Zizola apparso recentemente su Repubblica. Zizola non è un laicista, ma un laico attento alle problematiche religiose. Nell’articolo analizza i primi cinque anni del pontificato di Benedetto XVI, che lui riassume nella "formula" dì una "politica di riassetto del centralismo istituzionale dopo il nomadismo carismatico dei papa polacco", ovviamente Wojtyla. Questa politica, a carattere dichiaratamente programmatico, ha suscitato nel mondo cattolico - avverte Zizola - reazioni di vario tipo: anche vere e proprie "tempeste". Per quel che interessa il mio ragionamento, Zizola osserva come la spinta "centripeta" ratzingeriana, nello sforzo di ricostruire le "élite cristiane" salvandole dalla "frana" che le minaccia, "si lascia comprimere troppo strettamente nel solco di una tradizione eurocentrica in cui l’elemento storico assume abusivamente... un valore assoluto". Mi ha colpito il riferimento a una tradizione e cultura "eurocentrica" che condiziona, anzi plasma, il discorso dell’attuale pontificato. Questo eurocentrismo è l’interfaccia -diciamo così - dell’eurocentrismo culturale nel cui stampo la Francia ha plasmato il suo ottocentesco laicismo progressista.
Una strada esausta
La tradizione laicista ha influenzato in modo irreversibile la nascita e il formarsi delle nazioni sorte verso la fine dell’Ottocento. In parte, essa si fa sentire anche nel processo formativo delle nuove nazioni che spuntano come funghi ai nostri giorni. Figurarsi se posso pretendere di modificare il trend. Ma, da federalista convinto, ritengo sia una strada consumata fin nelle sue radici, esausta. E ugualmente sono scettico rispetto al tentativo della cattolicità di modellare su di sé, sulla sua cultura e sul suo linguaggio, così "eurocentrici", le eterogenee spinte che si intrecciano nel mondo di oggi e si proiettano in quello di domani. Più credibile, perché duttile e, leggero, è invece il modello realizzato nei secoli nel mondo anglosassone, specialmente negli Stati Uniti. Spesso, il mondo cattolico guarda a quel modello e lo indica all’Europa perché lo imiti. Dimentica però che il modello (federalista) della religiosità americana non prevede Concordati né accordi di nessun genere con uno stato-chiesa. Lo si può imitare, e si può pensare al superamento della cultura statuale e laicista degli stati-nazione di modello francese, solo se si rinuncia ai privilegi di una tradizione identitaria consunta e inservibile, proiettando il baricentro dell’iniziativa fuori e "oltre" l’Europa. E’ la grande sfida politico/culturale alla quale né la laicità né la religiosità possono sottrarsi, pena la sconfitta.
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