
Come ci si comporta in Italia di fronte ai problemi elle pone la ventilazione meccanica per i malati di Sla? Tutti gli esperti interpellati sono d’accordo sul fatto che quando il paziente si avvia verso l’insufficienza respiratoria deve essere accompagnato e assistito nelle sue decisioni. Gli si deve prospettare la possibilità di ventilazione non invasiva (con una mascherina) e, quando questa sarà insufficiente, di ventilazione attraverso un tubicino inserito in trachea (tracheostomia) collegato a una macchina ventilatrice. Fino a qui tutti concordi sul fatto che deve essere rispettata la decisione del paziente di accettare o no questi trattamenti dopo essere stato adeguatamente informato. Nel caso non desideri l’assistenza respiratoria deve essere avviato a un percorso di terapie palliative. Se però un malato ha accettato la tracheostomia e poi ci ripensa? Qui le posizioni assumono sfumature differenti.
«Secondo il nostro registro epidemiologico regionale il 15% dei pazienti sceglie la tracheostomia e gli altri le cure palliative» dice Adriano Chiò, neurologo del centro Sla di Torino. «Fra i primi a noi nessuno ha chiesto di staccare il respiratore, e noi non lo faremmo. Nel caso Welby la posizione del medico che lo ha fatto è stata archiviata perché ha commesso un reato ma nell’atto di permettere a un paziente di esercitare il proprio diritto alla salute. Quella sentenza però non ci mette al riparo dal rischio che un altro magistrato ci giudichi, in circostanze analoghe, colpevoli di omicidio di consenziente. Il problema è che manca un quadro normativo ben definito». «Non c’è bisogno di una legge specifica» è l’opinione di Amedeo Santosuosso professore di Diritto, Scienza e nuove tecnologie all’università di Pavia. «Esistono norme costituzionali che prevedono il rispetto della volontà del paziente. Il medico del caso Welby è stato assolto perché ha adempiuto a questo dovere. Cassazione e Corte Europea dei diritti dell’uomo confortano questa posizione».
«II paziente deve essere messo sempre in condizione di rifiutare una terapia, anche se questa è stata iniziata» aggiunge Enrico Marinelli, direttore dell’unità di medicina legale del policlinico Umberto I di Roma. «Ma se viene accompagnato adeguatamente, avvisandolo prima che la decisione di accettare una terapia sarà, di fatto, senza ritorno, il problema è molto raro, direi quasi più teorico che pratico». «Io tratto situazioni diverse perché ho pazienti acuti» interviene Marco Venturino, direttore del Servizio di anestesia e rianimazione dello Ieo, di Milano. «Però secondo me la norma giuridica non è davvero essenziale nella mia professione perché credo che il rapporto con il paziente la superi. Anche una normativa sul testamento biologico non sarebbe mai davvero esaustiva perché ogni caso è unico e va gestito con il paziente e con i suoi familiari».
«La coscienza del medico è essenziale» chiosa Christian Lunetta, del Centro Clinico Nemo, di Milano. «Noi puntiamo molto sull’accompagnamento del malato, facciamo un lavoro a monte e il problema di staccare il respiratore a qualcuno che ha deciso di averlo, nei fatti, per noi non si pone, però siamo di fronte a una realtà in cui sarebbe auspicabile sapere quello che è fattibile e quello che non lo è perché affidare le decisioni alla coscienza del medico e al codice deontologico può comportare rischi». «Se c’è già una tracheostomia non conosco colleghi che "stacchino la spina" senza prima aver contattato magistratura e comitato etico dell’ospedale» commenta Ferdinando Raimondi, responsabile del dipartimento di anestesia dell’Istituto Humanitas, di Milano.
«Con la legislazione attuale si tratta di una decisione, anche quando deontologica mente ammissibile, espone il medico a problemi importanti » « Se alla ventilazione meccanica si arriva in modo condiviso e cosciente il problema si pone raramente» rinforza Mario Melazzini, presidente di Arisla, «e il nostro codice deontologico, comunque ci dice di non sospendere un trattamento che è un sostegno vitale». «lo di tubi non ne ho mai tolti» racconta Jessica Mandrioli, responsabile del centro Sla di Modena, «ma un nostro paziente ha chiesto la sospensione del trattamento e ha "prenotato" l’eutanasia in Svizzera. Allora noi l’abbiamo ricoverato e abbiamo detto che se questa era la sua volontà avremmo staccato il respiratore noi, informando familiari e giudice. Ma quando è stato ricoverato ha cambiato idea perché ha capito che non era stato abbandonato. Se nessuno se ne fosse fatto carico sarebbe morto in Svizzera, dopo aver pagato 12mila euro e aver fatto un’intervista di "idoneità" via Skype. Noi dovremmo accettare che una persona metta fine alla propria vita con un questionario a video?»
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