
Davvero è ancora aperta la partita del referendum sul nucleare? Sul serio Giorgio Napolitano dispone degli strumenti per «salvare», su questo fronte, un prezioso mezzo di democrazia diretta?
Dopo il voto di Montecitorio sul decreto-omnibus che contiene anche uno stop a tempo sulla costruzione di nuove centrali atomiche, i promotori della consultazione popolare stanno intensificando il pressing sul Quirinale. La loro speranza è che il capo dello Stato, a costo di bocciare l'intero provvedimento un articolo del quale si occupa appunto della «strategia energetica» rinviando di un anno le decisioni sull'opzione nucleare, intervenga contro quello che definiscono «uno scippo dei cittadini italiani a esprimersi».
Un'aspettativa con ogni probabilità destinata a restare delusa. Infatti, a una prima lettura, il contestato decreto non appare viziato da profili di incostituzionalità così «palesi» da vincolare il presidente della Repubblica a negare la propria firma di promulgazione. La sorte del referendum dovrà in ogni caso dipendere da un rapido atto giurisdizionale delle sezioni unite della Corte di cassazione, dalle quali a questo punto sembra difficile aspettarsi un pronunciamento di ammissibilità della consultazione.
Per sincerarsene, basta ricordare che la legge istitutiva dello strumento referendario attribuisce al Parlamento un ruolo da dominus fino all'ultimo giorno. Pertanto, se la legge che si vorrebbe abrogare viene modificata in tempo utile, qualsiasi referendum che la riguardi salta. Un principio che - com'è ovvio può non piacere, considerati gli intenti fuorvianti e con il sapore di un sabotaggio studiato ad arte (basta pensare a quanto ha pubblicamente ammesso ancora pochi giorni fa lo stesso premier, Silvio Berlusconi) utilizzati stavolta per annullare questa particolare chiamata alle urne. Ma un principio esplicito e che rimane ineludibile.
È vero però che in un comma del testo congedato ieri dall'Aula c'è un aspetto di ambiguità cui potrebbero aggrapparsi i comitati referendari. Ed è nel comma 8 di questa moratoria del programma nucleare, in cui si prevede che l'approvazione del piano energetico nazionale rientri tra i diretti poteri amministrativi del premier, riducendo la Camera e il Senato a un ruolo di semplice «consultazione».
La partita è complessa e, in attesa di verificare la «corposa e sostanziosa memoria» che i dirigenti del Partito democratico hanno annunciato di voler depositare alla Suprema Corte, il clima delle piazze si fa di ora in ora più infuocato.
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