
22/10/09
Terra
Quarantaquattro pagine per uscire dall’oblio. Almeno 43 uiguri sarebbero stati assassinati, ma ufficialmente risultano “solo” dispersi. Il rapporto pubblicato ieri da Human rights watch fotografa una situazione confusa e agghiacciante. Il documento tenta di fare luce sulle sorti dell’etnia musulmana e turcofona a Urumqi, capoluogo della provincia cinese dello Xinjiang, all’indomani dei violenti scontri del 5 luglio scorso, in cui morirono circa 200 persone, in maggioranza di etnia han (ovvero cinesi). L’esplosione delle violenze che costrinse il presidente Hu Jintao ad abbandonare prima del tempo l’Italia, dove si trovava in visita ufficiale, scaturì da una lite tra ragazzi di differenti etnie su presunte violenze sessuali ad alcune donne dei rispettivi gruppi. Un pretesto che servì a riprendere una partita aperta nella regione ricca di petrolio, dove la maggioranza uigura ha minori diritti della minoranza han. Nei giorni a seguire, il 6 e 7 luglio, interi quartieri a Urumqi furono setacciati e vennero arrestati tutti gli uomini che non erano a casa durante le sommosse. «Le forze dell’ordine cinesi hanno detto a tutti di uscire di casa, hanno intimato alle donne e agli anziani di farsi da parte per prendere i maschi fra i 12 e i 45 anni. Loro sono stati allineati contro un muro», ha raccontato una signora citata dal documento dell’organizzazione. «Alcuni uomini - ha aggiunto - sono stati obbligati a mettersi in ginocchio, le mani dietro la schiena legate a bastoni, altri sono stati fatti sdraiare per terra con le mani sul capo». E questo, a detta del direttore per l’Asia di Human rights watch, Brad Adams, non è che «la punta dell’iceberg». Per fare maggiore chiarezza, l’organizzazione per i diritti umani ha invitato Stati Uniti e Ue a esercitare pressioni sulla Cina affinché «siano date risposte certe su cosa è successo» nello Xinjiang. Risposte che ieri è tornata a pretendere anche la dissidente in esilio a Tokyo Rebya Kadeer, soprannominata il dalai lama degli uiguri. In occasione delle conferenze che si stanno tenendo in Giappone in questi giorni sulla situazione delle minoranze etniche in Cina, la donna ha ricorda- to anche il dramma delle esecuzioni. «Degli 11 uiguri condannati a morte, 9 sono già stati giustiziati », ha detto Kadeer. Il suo bilancio sui dispersi, poi, è decisamente più drammatico di quello emerso dal rapporto di Human rights watch. «Secondo informazioni in nostro possesso - ha affermato la leader - oltre 10mila uiguri sono stati arrestati e incarcerati tra il 5 luglio e il primo ottobre, ma quanti siano davvero i morti e quanti siano ancora in prigione, nessuno lo sa». Nonostante ciò, Kadeer, quattro volte candidata al Nobel per la Pace, ha rinnovato anche ieri il suo appello a negoziare con Pechino. Gli uiguri al momento hanno rinunciato all’indipendenza, ma chiedono almeno piccole aperture a una forma, seppure blanda, di autonomia.
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