
Domenica il XX Congresso straordinario dell'Aglietta a vent'anni dalla morte della storica militante torinese. Il segretario Manfredi si presenta dimissionario e dalla fine di giugno via dalla sede di via Botero. Il presidente Boni: "Non possiamo arrenderci"
Senza sede, senza soldi e senza iscritti. Annaspano i Radicali torinesi nel mare magnum di associazioni, comitati, consulte e naturalmente partiti, che caratterizzano la vita politica quotidiana. «I Radicali a Torino come in tutta Italia sono ridotti a pura testimonianza» osserva amaro il segretario dell’Adelaide Aglietta Giulio Manfredi, alla vigilia del XX Congresso straordinario dell’associazione, con in tasca la sua lettera di dimissioni «irrevocabili».
Esattamente 15 anni fa moriva Adelaide Aglietta, giudice popolare nel processo alle Brigate rosse, in prima linea nelle battaglie per il divorzio, l’aborto, la politica trasparente. Iscritta al Partito radicale nel 1974, due anni più tardi ne diviene segretaria, la prima donna in Italia a ricoprire tale carica. Nel suo primo anno a capo dell’organizzazione si impegna in uno sciopero della fame di 73 giorni per il rispetto della legge carceraria, viene eletta parlamentare ed eurodeputata, fonda i Verdi Arcobaleno e lotta fino al 20 maggio 2000 contro un tumore al seno. A pochi mesi dalla sua scomparsa, i Radicali torinesi vollero intestarle la sede della loro associazione, quella casa di tutti i laici e libertari al civico 11 di via Botero, che dal prossimo 30 giugno vedrà definitivamente chiudersi le proprie saracinesche.
Il congresso di domenica sarà “senza rete” secondo la definizione del presidente dell’Aglietta, Igor Boni: può succedere tutto, che scompaiano i Radicali di Torino o che si trasformino in qualcos’altro. Affida a un post su facebook il suo pensiero: «Le storie politiche possono finire così come la vita delle persone; lo abbiamo capito di nuovo con la scomparsa prematura e terribile dell’amico Antonello Polito […] eppure io credo che dobbiamo trovare la forza di cambiare e di proseguire». Nonostante le difficoltà, anche a reperire nuovi iscritti (al momento sono 71, contro i 230 registrati un paio d’anni fa) e soprattutto nel coinvolgere nuove energie, dal momento che non ci sono radicali con meno di 30 anni.
Si annaspa in una realtà, quella subalpina, che pure è stata tra le più attive del panorama radicale nazionale, dove quattro anni fa è stato eletto un consigliere comunale nelle liste Pd, Silvio Viale, e da anni si portano avanti una serie di iniziative per la trasparenza o la cannabis terapeutica. Si annaspa a Torino come a Roma, dove il partito nazionale mette all'asta i suoi cimeli per raggranellare qualche risorsa. In questi ultimi mesi «siamo riusciti a depositare la petizione per il testamento biologico in Regione; presentare una proposta di legge elettorale regionale uninominale e maggioritaria (elaborata con alcuni settori del PD) che vede il consenso di Chiamparino; ottenere una significativa vittoria in tema di trasparenza sul caso del grattacielo Fuksas. Abbiamo inoltre deciso di aderire concretamente alla raccolta di firme del Comitato “Partecipazione attiva” che vede l’adesione anche dei Grillini per chiedere l’introduzione del referendum propositivo a Torino. Segnaliamo infine con soddisfazione la nomina di Silvja Manzi nel Comitato Diritti Umani del Consiglio Regionale, strumento che cercheremo di utilizzare per dare voce a chi voce non ha» dice Manfredi elencando le ultime attività svolte. A Torino i Radicali sono storicamente più vicini al Pd che al centrodestra, una linea dettata da alcuni degli esponenti più influenti, a partire proprio da Viale e dallo stesso Boni che col Pd si è candidato alle ultime Regionali. Eppure il segretario uscente Manfredi, nella sua lettera di commiato, proprio al Pd riserva le critiche più aspre: «E’ stato il gruppo del Pd al Comune di Torino ad affossare i referendum comunali proposti da Viale. Ed è stato il segretario regionale e capogruppo Pd in Regione Davide Gariglio a promettere in campagna elettorale che avrebbe presentato appena eletto una proposta di legge sulla trasparenza, ma a un anno di distanza non l’ha fatto (la proposta di legge è in via di stesura e dovrebbe essere presentata nei prossimi mesi ndr)».
Tra coloro che di chiudere i battenti non hanno nessuna intenzione c’è certamente Boni che già sta lavorando a una serie di alternative, a partire da una nuova sede, «magari attraverso un sistema di co-housing che ci permetta di risparmiare sull'affitto (oggi è di circa 600 euro al mese ndr) e lavorare sempre più a stretto contatto con una serie di associazioni con cui già collaboriamo, a partire dai democratici di Ateniesi e Libertà Eguale fino ad Alleanza per la Città con cui stiamo ragionando». Mancano quattro giorni per conoscere il futuro del partito più vecchio presente oggi a Torino, l’unico sopravvissuto (finora) dal passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica.
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