
24/11/10
Secolo d'Italia
«In generale le donne devono fare qualsiasi cosa due volte meglio per essere giudicate brave la metà, ha detto una signora. Ma per fortuna non è così difficile». Emma Bonino, ospite alla puntata di lunedì scorso del programma di Fabio Fazio Vieni via con me, ha finito sorridendo la lettura del suo elenco. Un elenco che, peraltro, non lascia molto spazio al sorriso, scandendo in circa cinque minuti l’impegnativa e densa lista delle cose che le donne devono ancora subire. E delineando una condizione femminile in cui molti diritti sono ancora da conquistare. E la misura dei passi da compiere proviene interamente dalla lettura di analisi come quella di Vittorio Sgarbi sul Giornale di ieri, secondo cui la crisi politica è figlia di due donne, Elisabetta Tulliani e Veronica Lario.
«Il corpo delle donne è un campo di battaglia»: ha detto innanzitutto Emma Bonino. Lo è stato nel tempo, lo è nello spazio: dal corpo di Elena di Troia e delle Sabine rapite fino a quello spogliato e offeso dalla mercificazione della donna di oggi. Da quello lontano delle donne afghane a quello vicino delle donne occidentali. «Io sono mia». C’è chi ha riso e ride, quando sente pronunciare questa frase. Ma c’è poco da ridere. Perché «le donne sono di qualcuno per definizione», e lo si apprende sin dalle Sacre Scritture che, tra i Comandamenti, mettono in guardia dal desiderare la «donna d’altri».
Il diritto a diventare madri: le donne e l’angosciosa necessità di abortire per molte, le donne e la procreazione assistita come atto d’amore. Donne che possono essere ricoperte da capo a piedi mentre non esiste un capo di vestiario pensato per coprire un uomo altrettanto integralmente.
Donne impegnate per le donne. La signora Mubarak in prima linea contro le mutilazioni genitali femminili e la signora Clio Napolitano, strenua sostenitrice della stessa battaglia. Il troppo poco scalpore di fronte ai milioni di donne, anche bambine, sottoposte sistematicamente tutti i giorni nel mondo alla violenza della mutilazione intima. I milioni di ragazze, circa 100, che mancano all’appello, perché private del diritto di nascere o di diventare grandi. Perché femmine, quindi inutili, semplicemente.
Il diritto delle persone che è uno solo: «Non c’è una legge in casa e un’altra fuori casa» e pertanto una ragazza italiana deve poter liberamente decidere, esattamente come una ragazza pakistana, come portare i capelli, quali vestiti indossare, in che modo trascorrere il suo tempo libero. Che sia di domenica, di sabato o di venerdì.
Il delitto d’onore. Che fa sì che tocchi una pena irrisoria a chi uccide la moglie, la figlia o la sorella, se lo ha fatto per difendere il proprio onore. In Italia è stato abolito nel vicino 1981 e in molti paesi vige ancora.
«Nasciamo pari e cresciamo dispare», chiosa il vicepresidente del Senato Emma Bonino, strenua combattente per i diritti delle donne, perché siano gli stessi degli uomini. «Felice il giorno in cui le donne non dovranno conquistarsi niente di più. Giorno che sarà migliore anche per gli uomini», ha detto prendendo la parola dopo Emma Bonino Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Ha letto un elenco di pensieri di donne che lavorano e devono conquistarsi tutto: il tempo del matrimonio, della maternità, dell’allattamento. «Il diritto di sentirsi uguali nel lavoro, restando differenti». Ma di strada da percorrere ce n’è ancora tanta. E la partita è ancora tutta da giocarsi, la battaglia da combattersi. Basta leggere i giornali del giorno dopo, per eliminare ogni dubbio. «L’attuale capricciosa e inverosimile posizione della ministra delle Pari opportunità palesa che sposarla sarebbe stato un clamoroso errore», scrive Vittorio Sgarbi sul Giornale. Esempio lampante di come abbiano un peso diverso le parole della donna rispetto a quelle dell’uomo. «Poiché Mara si chiama Mara e ha il corpo e gli occhioni che sapete, la sua denuncia è già stata declassata a scatto isterico, baruffa fra comari», «il parere femminile vale meno e non è considerato autorevole. Quando un uomo s’arrabbia, ha carattere. Quando si arrabbia una donna, ha le mestruazioni», commenta magistralmente Massimo Gramellini. Ancora Vittorio Sgarbi, sempre sul Giornale: «Stiamo assistendo agli effetti imprevedibili e catastrofici di opposte concezioni della vita amorosa non tra cattolici e libertini, non fra tradizionalisti e figli disinibiti della rivoluzione sessuale, tra vecchi e giovani, ma, all’interno di quello che fu lo stesso partito, tra Fini e Berluscon.i», scrive indagando le ragioni «dell’attuale sconvolgimento che attraversa il mondo politico». E si interroga sul passaggio e la validità delle fasi politiche del «meglio comandare che fottere»; «meglio fottere che comandare»; «meglio comandare per fottere». Tutto sta qui. Queste le leve, i meccanismi, le dinamiche della politica. Con qualche dubbio, magari, sui risultati, le conseguenze e i costi dell’uno o dell’altro modello. Ma una sola, salda, granitica certezza, persino scontata nella sua indiscutibile ovvietà: ai tempi della «centralità politica della gnocca» e del maschilismo imperante la donna è l’oggetto. Niente di più e niente di meno.
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