
Chi abbia torto e chi abbia ragione non importa più. Il dato di oggi, e suppongo di domani, è che gli italiani sono disgustati e, pur con tutta la buonavolontà, non riescono a seguire con un minimo di partecipazione gli sviluppi della vicenda schede. Alla quale tutti hanno fornito un contributo di confusione: quelli che hanno scritto la legge elettorale; quelli che non l'hanno modificata e hanno delegato le regioni ad applicarla a piacimento; le commissioni elettorali, ciascuna delle quali fa di testa sua; i tribunali ordinari e amministrativi che giudicano usando due pesi e due misure; i politici che mirano soltanto a portare acqua al proprio mulino. E risparmiamo il governo (e il Quirinale) che ha prodotto un decreto per chiudere la questione senza capire che l'avrebbe invece riaperta.
Adesso per favore mettiamoci su una pietra purché sia tombale. Liti e polemiche, accuse e controaccuse servono solo ad accrescere nella gente un senso di nausea, i cui effetti si evincono dai sondaggi sul gradimento dei partiti, che segnalano cali vistosi per tutti. Stiano attenti i leader: se non la smettono con questa storia, rischiano di dare linfa all'antipolitica e di consumare la stima residuale dell'opinione pubblica, di destra o di sinistra che sia.
Lo spettacolo nell'ultima settimana ha trascinato in basso l'intero arco costituzionale dove non si distinguono i vincitori dagli sconfitti. Il grigiore dei protagonisti è tale da minacciare seriamente anche l'affluenza alle urne. Molti nostri lettori, dopo l'incidente, telefonano e scrivono: ci è passata la voglia di andare a votare; altri giurano che imbucheranno la scheda in bianco. Non si comprende se siano più indignati per la sciatteria di chi ha sbagliato a compilare le liste (e gli elenchi delle firme) oppure per la pretesa della sinistra di battere gli avversari senza misurarsi con loro, cioè col Pdl squalificato. Forse lo sono per entrambe le cose.
L'augurio è che si tratti di una depressione momentanea, ma comunque pericolosa: l'opinione più diffusa registrata da noi è che il 28 marzo si debba scegliere tra chi non è capace di presentare una lista (figuriamoci di governare) e chi, non essendo capace di vincere al seggio, fa il matto per vincere a tavolino.
Una competizione fra cretini e mascalzoni: questa purtroppo è la sintesi. Ecco perché, a prescindere dall'esito burocratico del contenzioso, è necessario uno scatto del Pdl per restituire fiducia agli elettori. E l'unico che può ancora una volta ribaltare la situazione è Silvio Berlusconi. Caro Presidente, licenzi, o almeno accantoni, gli sciocchi responsabili del pasticciaccio rimasto sullo stomaco agli italiani; non si ostini a far valere le sue ragioni sul piano del diritto (quale diritto, poi?) e si getti piuttosto nella campagna elettorale.
Mancano meno di venti giorni alla data fatidica: pochi ma bastevoli a ristabilire le distanze dalla sinistra nevrotica. La Polverini nel Lazio se la caverà da sé. In ogni caso ci sono altre dodici regioni, cinque delle quali è obbligatorio conquistarle. Se lei si impegna nell'attività in cui maggiormente eccelle, raccogliere consensi, ce la può fare ad onta dei corvi e delle iene che l'aspettano dietro l'angolo. Vada in televisione, vada in giro, parli ai connazionali anziché smarrirsi nei corridoi del Tar e del Consiglio di Stato che non sono il suo terreno. Solo con una sterzata in puro stile berlusconiano il Popolo della libertà tornerà a credere che non esista altro leader all'infuori di Silvio.
Ci rendiamo conto, le chiediamo un sacrificio pesante. Ma non c'è altemativa: o così o nel burrone. E dica agli italiani, che a spoglio avvenuto, provvederà a dare il benservito a qualche gerarca babbeo e ricomincerà a fare il Berlusconi a tempo pieno, guidando il Paese senza ascoltare il bla bla di corte.
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