
A inizio anno (mancano pochi mesi, ormai), come tutti gli anni, prima a Roma, poi in tutti gli altri distretti giudiziari, si apriranno gli anni giudiziari; come tutti gli anni, da anni, sarà l’occasione per un bilancio dello stato della giustizia in Italia. Come tutti gli anni, da anni, la radiografia tracciata, sarà impietosa, il quadro terrificante.
Non si potrà non osservare che nei 206 istituti di (letterale) pena sono stipati oltre 66mila detenuti, quasi la metà in attesa di giudizio; almeno la metà di quel 47 per cento sconta ingiustamente una pena preventiva: la pena preventiva, di per sé è ingiusta, ma l’ingiustizia diventa ancora più atroce quando si viene infine assolti per non aver commesso il fatto… Per converso, ci verrà ricordato che un buon 85 per cento dei reati commessi risulta impunito: nel senso che non si riesce neppure a individuare il responsabile, saranno rubricati come commessi da “ignoti”. Un fenomeno talmente diffuso che spesso il cittadino, consapevole della situazione, rinuncia anche al fastidio di denunciare il furto, lo scippo. Farlo, quasi sempre si risolve in una perdita di tempo e in un contributo alla raccolta di dati per le statistiche. Se ne ricava che quel minimo di efficienza nelle galere e nei palazzi di giustizia (davvero minimo!), lo si deve al sostanziale e più generale fallimento e inefficienza in cui versa l’intero mondo della giustizia: che se per artificio accadesse un giorno che tutti i reati, o anche solo la metà, avessero un nome e cognome, in appena cinque minuti tutte le carceri e i palazzi di giustizia letteralmente esploderebbero.
Per tornare alle carceri: quegli oltre 66mila detenuti, colpevoli o innocenti che siano, sono rinchiusi in carceri che ne dovrebbero contenere meno di 46mila. Il 2012 non si è ancora concluso, e già si sono censiti 39 detenuti suicidi “ufficiali”. Negli ultimi dodici anni, i suicidi in carcere sono stati 731; e una settantina tra gli agenti di polizia penitenziaria.
Questa è solo la faccia più dolente del pianeta giustizia. Per quel che riguarda i tempi dei processi, la Banca mondiale colloca l’Italia al 148 posto su 183 paesi. Siamo “sotto” Vietnam, Gambia, Mongolia… A causa dell’irragionevole durata dei processi la Corte di giustizia europea ci ha condannati un’infinità di volte, e comunque l’Italia tra i paesi membri dell’Unione è il paese che ha collezionato più condanne. Gli oltre sei milioni di processi civili ci costano qualcosa come 96 miliardi di euro; secondo l’ufficio studi di Confindustria questa situazione incide per circa il 4,9 per cento del Pil. Una situazione che spaventa e allontana gli investitori stranieri, deprime quelli italiani. Per tutelare un contratto – è solo un esempio tra i tanti che si possono fare – in Italia occorrono in media 1200 giorni. In Germania, Gran Bretagna e Francia si oscilla tra i 394 e i 331 giorni.
Anche con il penale non si scherza: i risarcimenti per ingiusta detenzione (e ottenerli è un supplemento di pena), costano circa 46 milioni di euro l’anno. Capitolo a parte quello delle prescrizioni: sono 165mila circa ogni anno, riguardano anche reati gravi; è un’amnistia quotidiana, silenziosa, di classe che si consuma da anni. Non è solo un’ingiustizia nei confronti del cittadino che si vede negato un diritto – quello alla giustizia – di cui ha diritto; è anche un ulteriore, gravoso, costo sociale: altri 84 milioni di euro l’anno che se ne vanno in fumo. Sentite dire qualcosa in proposito dai fieri avversari del provvedimento di amnistia, quello vero, con regole precise e studiate e varate alla luce del sole?
La domanda è per Pierluigi Bersani, ma anche per Matteo Renzi, per Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, perfino Beppe Grillo: a tutti coloro che chiedono fiducia per un cambio di rotta dopo gli anni dello (s) governo berlusconesco; ma può essere estesa ai compilatori di programmi elettorali e di governo, i commentatori, editorialisti, titolari di rubrica: perché di tutto parlano e scrivono, ma su questo non una parola? E se la proposta di Marco Pannella di un provvedimento di amnistia per mettere in moto il meccanismo virtuoso che faccia scattare quel processo di riforme necessarie e urgenti, non la si ritiene giusta, adeguata, praticabile, quale altra alternativa credibile e perseguibile? Come diceva il vecchio soldato tracciando la linea: «Hic Rhodus, hic salta».
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