
Essere rinchiusi in una cella sovraffollata, magari per anni, con meno di tre metri quadrati a testa (quando il limite europeo già di per sé stretto sarebbe di almeno quattro), è «a tutti gli effetti una forma di tortura». Lo ha detto il direttore della Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo, che per questo motivo si è unito alla richiesta di quanti invocano - da tempo - che il «reato di tortura» sia introdotto formalmente anche nell'ordinamento italiano «come peraltro previsto dalla nostra Costituzione». Don Davanzo ne ha parlato commentando il Rapporto nazionale sullo stato dei diritti umani nelle carceri e nei «centri di accoglienza» per migranti, riproposto ieri a Milano dal presidente della Commissione diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro: giusto a pochi giorni dalla morte di un detenuto di San Vittore per un malore dovuto probabilmente al caldo, seguita da uno sciopero della fame di alcuni di loro in sintonia con analoghe iniziative di sensibilizzazione promosse soprattutto dai Radicali anche in altre carceri italiane. «Chiedere una legge sul reato di tortura - ha detto don Davanzo - è una affermazione di civiltà». Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria certifica che i detenuti in Italia, aggiornati al 29 febbraio scorso, sono 66.632 contro una capienza «regolamentare» di 45.742posti distribuiti in 206 istituti di pena. Ma ancora peggio è nei centri di identificazione ed espulsione, dove don Davanzo ricorda la reclusione di «persone che non hanno commesso nessun altro reato se non quello di essere senza permesso di soggiorno: violazione amministrativa pagata con una reclusione a volte peggiore di quella dei detenuti nelle carceri».
© 2012 Corriere della Sera - ed. Milano. Tutti i diritti riservati