
Dove sta l'onore di una nazione? Di fronte alle critiche che sono piovute sulla decisione di Silvio Berlusconi di ricandidarsi alla premiership, spingendo Mario Monti alle dimissioni, ritorna l'accusa di "offesa" a un intero Paese. Attaccando Berlusconi, dunque, si attaccherebbe l'Italia, la sua libertà e la sua autonomia nel momento delle scelte elettorali. Quindi quelle critiche vanno respinte e rigettate dall'intero Paese perché "antiitaliane", lesive appunto dell'onore della nazione.
In realtà non siamo affatto un Paese a sovranità limitata. Gli elettori scelgono liberamente, destra e sinistra si sono alternate al potere più volte, con piena legittimità. Solo che in democrazia il consenso bisogna ogni giorno riguadagnarselo, in patria e fuori. E in Occidente, bisogna saperlo trasformare in capacità di governare, cioè in politica coerente, efficace e credibile.
Il Cavaliere e il suo partito dovrebbero dunque domandarsi perché l'establishment europeo, il Ppe, le cancellerie e l'opinione pubblica rappresentata dai giornali esprimano queste preoccupazioni all'idea di un ritorno berlusconiano: quali ricordi e quali tracce hanno lasciato la politica e il governo della destra negli ultimi anni? Quali effetti hanno prodotto, per il Paese e la sua credibilità, i comportamenti più disinvolti e scandalosi che confondevano pubblico e privato? Quali giudizi hanno provocato le norme ad personam ripetute e insistite nel tentativo, del tutto inedito in Europa, di dimostrare che la legge non è uguale per tutti? Quale memoria resta nel continente della dismisura come regola di vita politica e personale? E quale promessa di futuro può nascere oggi dall'irrisione dello spread, unita all'attacco alla Germania e alla nostalgia della lira?
È questo che l'Italia paga, ed è da tutto questo che deve sentirsi offesa, per il danno subito e per il costo nel suo onore internazionale. Ciò che scrivono i giornali, ciò che dicono i Cancellieri è soltanto la conferma che il canone occidentale non è quello di Arcore, cui hanno acconsentito per anni gli intellettuali italiani, una Chiesa accomodante, un establishment prono fino alla crisi del Cavaliere, quando si poteva rialzare la testa. E attenzione: il populismo antieuropeo che Berlusconi prepara per la campagna elettorale è un'altra volta un'eccezione. Che spaventa l'Europa, più dell'idea incredibile del suo ritorno.
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