
10/09/10
Panorama
Una volta si diceva che la guerra fosse la continuazione della politica con altri mezzi. Le cose sono mutate. Oggi è la pochade ad avere sostituito gli scontri armati. E in questo non è difficile cogliere un segno di progresso. Non si muore più di piombo, ma dal ridere. Chi avesse dei dubbi in proposito dia una scorsa ai giornali e scoprirà che il Palazzo si è trasformato in cabaret permanente. Francesco Rutelli, per esempio, è una brava persona, ma ciò non gli impedisce di essere un comico naturale. Anni fa debuttò come radicale pannelliano, e della rosa nel pugno divenne addirittura segretario. Un bel segretario, al punto che qualcuno lo soprannominò Cicciobello. Poi Rutelli si stufò del suo mentore, Marco Pannella, e cambiò partito passando ai verdi ambientalisti dove, tuttavia, non si trattenne a lungo. Trascorse un periodo da sbandato finché, nel 1993, fu reclutato dalla sinistra generica e candidato sindaco di Roma in opposizione a un altro personaggio inconsapevolmente dotato di vis comica: Gianfranco Fini. Vinse Ciccobello. Il quale di lì a poco si convertì al Cattolicesimo, esattamente come Walter Veltroni che ricordiamo in piazza San Pietro, con i figli per mano, a rendere omaggio a Papa Giovanni Paolo II.
Anche Veltroni è un tipo simpatico. Pensate Ha detto di essersi iscritto da ragazzo al Partito comunista italiano perché sentiva di avere un cuore anticomunista (e filokennediano) che pulsava sotto la camicia americana. Come Francesco, anche a Walter è capitata la ventura di essere eletto sindaco della capitale. Dopo di che eccolo ascendere alla segreteria del Pd benché baby pensionato. Quindi venne candidato premier contro Berlusconi. Se perdo, disse, vado in Africa e non mi vedrete più. Invece non abbiamo mai smesso di vederlo perché, per quanto sconfitto, nel Continente nero non è emigrato.
Ma torniamo a Rutelli. Negli ultimi mesi, poiché era di cattivo umore, ha fondato un partito non molto grande ma dinamico; la base si riunirà a congresso in una cabina del telefono in zona Parioli. Si prevede una folta partecipazione di popolo. In attesa delle assise, Cicciobello si dà da fare onde trovare alleanze adeguate per spiccare il volo a Palazzo Chigi, dove è già stato trombato nel 2001 (le affinità con Veltroni sono molte). Si è incontrato con Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc e con lui ha stretto un accordo. Quale? Unire le loro forze a quelle di Fini che, in mancanza di rappacificazione con Silvio Berlusconi e Umberto Bossi valuterebbe interessante sottoscrivere un patto con i due citati cattolici per creare un nuovo centro. Tutto quesito casino per tentare di animare la Dc, la stessa Dc che in altre epoche Rutelli e Fini combatterono al grido: non vogliamo morire democristiani! È l'evoluzione bellezza.
Il cabaret della politica non esaurisce qui le sue gag. Il presidente della Camera, da quando è approdato alla sponda laica, si è innamorato dei cattolici e loro di lui. Rosy Bindi lo ha invitato ad allearsi con il Pd. Ed Enrico Letta, nipote di Gianni (tessera numero uno del club «Per fortuna che Silvio c'è»), sogna di acchiapparlo per rimpiazzare quel rompiballe di Antonio Di Pietro. Pier Luigi Bersani, cautamente ha lasciato invece intendere che non disdegnerebbe affidare a Casini il ruolo di punta nel centrosinistra per battere il Cavaliere nell'eventualità di elezioni anticipate. Ma non gli dispiacerebbe neppure avere con sé Rutelli, Fini e Di Pietro in modo che Giorgio Napolitano, se cade Berlusconi, possa creare il governo delle larghe intese per riformare il Porcellum.
Che avete capito da tutto questo? Nulla, perché non e è nulla da capire, solo da sbellicarsi.
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