
Il ritorno in auge del braccialetto elettronico, pur di evitare l'amnistia, obbliga ad andare a rivedere le puntate precedenti. La prima scoperta che si fa è che la soluzione era già stata adottata una decina di anni là e finora non ha risolto nulla. Nel 2001 il governo, allora di centro sinistra, firmava un contratto con Telecom Italia che a sua volta veniva rifornita da due società per i sistemi di controllo a distanza per un totale di quattrocento braccialetti.
Due anni fa risultava che una delle due società ne aveva in funzione una decina. Mettiamo che l'altra società, che è israeliana e forse più efficiente, ne avesse in funzione il doppio. In totale fa trenta. Sempre due anni fa il sindacato degli agenti di custodia Sappe denunciava che il costo pagato dallo Stato per il nolo dei braccialetti ammontava a sei milioni di euro l'anno.
I costosi aggeggi erano comunque tenuti sotto chiave, secondo la denuncia sindacale, al ministero dell'Interno. Tranne quei pochi utilizzati che, secondo le agenzie di stampa, sarebbero in tutto una decina. Nel frattempo, per dieci anni, il costo dell'operazione è stato di sei, qualcuno dice dieci, milioni di euro. Tutti questi dati sono presi da una interrogazione presentata due anni fa al Senato dai radicali. La risposta non l'ho trovata ma ho capito perché è difficile considerare i braccialetti una soluzione per il sovraffollamento carcerario. Piuttosto c'è il rischio che lo alimentino.
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