
15/04/10
la Repubblica
Bossi ieri a cena. Fini oggi a pranzo. Berlusconi fa il punto con i maggiorenti del Pdl, e soprattutto dall’incontro finalmente fissato con il presidente della Camera si aspetta di misurare il livello di tensione fra i due. Ma intanto è il Senatur che piazza colpi. Annuncia: «Ci prenderemo le banche del Nord. La gente ce lo chiede, e noi lo faremo». Aprendo così un nuovo fronte per la Lega, che punta a sbarcare in forze nelle fondazioni bancarie dove, nei prossimi mesi, gli enti locali saranno chiamati a indicare i propri rappresentanti. «Non c’è dubbio che nelle più grosse avremo i nostri uomini» avverte il ministro delle Riforme, passando all’incasso dopo il successo delle regionali, ma suscitando subito l’allarme del Pd che, con il vicepresidente dei deputati Ventura, chiede si sapere se si tratta «solo di una battuta, altrimenti intervenire».
Ma non l’unica "sparata" del leader della Lega. Che prenota per la Lega la poltrona dì premier nel 2013, con Berlusconi al Quirinale, «perché no, tutto è possibile». Confermando le "rivendicazioni" già avanzate da Maroni e Calderoli. E Bossi che si lancia anche in una appassionata rivalutazione del Porcellum: «La legge elettorale non si tocca. Mica si può cambiare sempre tutto il Parlamento. Questa legge sta funzionano bene. Sono contrario al doppio turno». Dipendesse dal Senatur, sarebbe da spazzare via anche il doppio turno alle comunali. «Stiamo parlando di federalismo, non di legge elettorale».
Riforme da fare insieme all’opposizione? Risposta freddina, «vedremo in Parlamento se saranno condivise, è lì che si vede qual è l’interesse del Pd». E tavoli "preventivi" di confronto non figurano nell’orizzonte di Bossi, il percorso è segnato: si parte dal Consiglio dei ministri, che approva una legge, «poi rivedono le modifiche che porta la sinistra». Pier Luigi Bersani s’indigna, «sorprendente la difesa di una legge elettorale che lo stesso autore ha definito una porcata», e ribadisce che la bozza Calderoli per il Pd «non è potabile».
Ma i paletti di Bossi provocano qualche contraccolpo nella stessa maggioranza. Il presidente del Senato Schifani insiste nel chiedere che non si proceda a colpi di maggioranza («ci vuole la più ampia condivisione»), ma soprattutto prende le distanze dal modello di Senato federale che tanto sta a cuore alla Lega: niente Camere di seria A e di serie B. «Il Senato federale - precisa l’inquilino di Palazzo Madama - deve mantenere la propria capacità di incidere sull’esecutivo». Oggetto della discordia: nella bozza Calderoli il Senato delle regioni non viene chiamato a concedere la fiducia al governo. Scelta che non piace a molti esponenti del Pdl, a cominciare dal vicepresidente dei senatori Quagliariello. Bossi sdrammatizza, quello di Schifani non è uno stop, «perché noi non vogliamofare del Senato un’assemblea di seconda serie». Ma per l’opposizione l’ennesimo segnale di uno scontro interno alla maggioranza. «Più si parla di riforme costituzionali -osserva Rosy Bindi - e più cresce la confusione nel Pdl. Non mi pare che le idee di Bossi coincidano con quelle del presidente Schifani». Secondo il presidente del Pd nelle fila della maggioranza «ognuno parla per sé» e non si capisce cosa vogliano fare. «Sono divisi tra loro nel merito e nel metodo», concorda Massimo Donadi, il capogruppo dell’Idv alla Camera. In mezzo a tante divergenze, un terreno d’intesa: la Finocchiaro e Bocchino pronti ad uno stralcio dalla bozza Calderoli per abbassare a 18 anni l’età per votare e candidarsi sia per la Camera che per il Senato.
Ma non l’unica "sparata" del leader della Lega. Che prenota per la Lega la poltrona dì premier nel 2013, con Berlusconi al Quirinale, «perché no, tutto è possibile». Confermando le "rivendicazioni" già avanzate da Maroni e Calderoli. E Bossi che si lancia anche in una appassionata rivalutazione del Porcellum: «La legge elettorale non si tocca. Mica si può cambiare sempre tutto il Parlamento. Questa legge sta funzionano bene. Sono contrario al doppio turno». Dipendesse dal Senatur, sarebbe da spazzare via anche il doppio turno alle comunali. «Stiamo parlando di federalismo, non di legge elettorale».
Riforme da fare insieme all’opposizione? Risposta freddina, «vedremo in Parlamento se saranno condivise, è lì che si vede qual è l’interesse del Pd». E tavoli "preventivi" di confronto non figurano nell’orizzonte di Bossi, il percorso è segnato: si parte dal Consiglio dei ministri, che approva una legge, «poi rivedono le modifiche che porta la sinistra». Pier Luigi Bersani s’indigna, «sorprendente la difesa di una legge elettorale che lo stesso autore ha definito una porcata», e ribadisce che la bozza Calderoli per il Pd «non è potabile».
Ma i paletti di Bossi provocano qualche contraccolpo nella stessa maggioranza. Il presidente del Senato Schifani insiste nel chiedere che non si proceda a colpi di maggioranza («ci vuole la più ampia condivisione»), ma soprattutto prende le distanze dal modello di Senato federale che tanto sta a cuore alla Lega: niente Camere di seria A e di serie B. «Il Senato federale - precisa l’inquilino di Palazzo Madama - deve mantenere la propria capacità di incidere sull’esecutivo». Oggetto della discordia: nella bozza Calderoli il Senato delle regioni non viene chiamato a concedere la fiducia al governo. Scelta che non piace a molti esponenti del Pdl, a cominciare dal vicepresidente dei senatori Quagliariello. Bossi sdrammatizza, quello di Schifani non è uno stop, «perché noi non vogliamofare del Senato un’assemblea di seconda serie». Ma per l’opposizione l’ennesimo segnale di uno scontro interno alla maggioranza. «Più si parla di riforme costituzionali -osserva Rosy Bindi - e più cresce la confusione nel Pdl. Non mi pare che le idee di Bossi coincidano con quelle del presidente Schifani». Secondo il presidente del Pd nelle fila della maggioranza «ognuno parla per sé» e non si capisce cosa vogliano fare. «Sono divisi tra loro nel merito e nel metodo», concorda Massimo Donadi, il capogruppo dell’Idv alla Camera. In mezzo a tante divergenze, un terreno d’intesa: la Finocchiaro e Bocchino pronti ad uno stralcio dalla bozza Calderoli per abbassare a 18 anni l’età per votare e candidarsi sia per la Camera che per il Senato.
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