
Trent'anni fa veniva ucciso a Palermo il generale Dalla Chiesa. Come è giusto le istituzioni, dal presidente della Repubblica ai rappresentanti del governo e del Parlamento lo hanno ricordato. Come era inevitabile altre voci politiche si sono aggiunte. Fra queste forse la più significativa è stata quella del figlio del generale, il sociologo ed ex parlamentare Nando che ha chiesto maggiore rispetto per la memoria del padre a quei "giornalisti, intellettuali o politici" che hanno "cercato in carte segrete, da nessuno mai trovate in trent'anni, il senso degli avvenimenti". Discorso un po' criptico che allude a uno dei paradossi più evidenti nella attività della procura di Palermo all'epoca di Caselli, quando, per rafforzare l'ipotesi accusatoria nei confronti di Giulio Andreotti, si ritagliò nelle carte processuali un'immagine del generale come di un ufficiale intrigante e sostanzialmente fellone che trafugava parti dei memoriali di Moro per offrirli alla censura preliminare dell'allora presidente del Consiglio, trattenendone forse copia. Se quella indagine ricostruisce "la vera storia d'Italia", come pomposamente fu intitolato il libro con gli atti della procura, effettivamente il generale non ne esce bene. Ma è con i magistrati che suo figlio deve prendersela, prima ancora che con quelli che li sostennero.
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