
Quello che sta succedendo nella magistratura siciliana porta al cuore del problema della strategia anti-mafia. Non si tratta solo di Ingroia. Anzi Ingroia, in fondo, è stato liquidato dai suoi stessi amici. Ieri, al Csm, Magistratura democratica poteva dare un segnale politico votando contro la messa fuori ruolo del procuratore aggiunto palermitano. Un gesto del genere avrebbe voluto dire: "Comprendiamo che sei amareggiato, ma ti diciamo: resta al tuo posto, noi ti aiuteremo". Non l'hanno fatto. Non avrebbero avuto la maggioranza molto probabilmente. Ma il loro voto a favore chiude la faccenda autorizzando l'impressione, più che di un auto-esilio, di una fuga che lascia aperte molte questioni che ad altri toccherà risolvere. Anche il silenzio su Ingroia dell'Anm, il sindacato dei magistrati, è indicativo. Così come è indicativo il fragorosissimo sostegno che l'Anm ha invece dato ieri al Procuratore generale di Caltanissetta Scarpinato. Starà a lui, col sostegno del Fatto quotidiano, di Repubblica e della Stampa, con- durre la battaglia che è la stessa di Ingroia, rispetto al quale il magistrato nisseno è accreditato di identica linea ma maggiore cultura. Infatti condurrà la battaglia in nome della "parresia" che nella antica Grecia era la libertà di dire tutto. Il termine fu poi ripreso dai primi cristiani che ne accentuavano l'aspetto di indifferenza agli onori e alle cariche pubbliche. E qui forse c'è il problema, perché la posta in gioco è la successione a Piero Grasso alla direzione nazionale antimafia o, in subordine, il posto di procuratore capo a Palermo. Quello che è successo ieri fa intendere che Scarpinato intanto ha vinto le primarie.
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