
Lo showdown, considerando come le cose si sono messe, era inevitabile. La procura di Palermo, o almeno una parte sostanziosa di essa, giocando di sponda con il Fatto e alcune firme di Repubblica e dell'Unità secondo gli schemi consolidati del "circo mediatico-giudiziario", ha ottenuto quel che voleva, una sorta di watergate con le sarde. Il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale ha tutte le ragioni, sia pure espresse in una prosa che poteva essere più scorrevole, ma rischia di non bastare, a prescindere dal suo esito. La soluzione della questione attraverso una disputa dottrinaria in tema di immunità e prerogative potrebbe essere possibile in uno stato di diritto funzionante. Molte cose mostrano che non è questo il caso. Per restare in Sicilia basta leggere l'intervista di ieri sul Corriere al dirigente confindustriale Ivan Lo Bello, che pronuncia accuse gravissime e documentate sulla gestione dell'autonomia regionale, non solo da parte dell'ultima giunta, fino all'evocazione di un gigantesco falso in bilancio perpetuato nel tempo, brodo primordiale nel quale la mafia ha sempre sguazzato nella sostanziale indifferenza del Palazzo di giustizia.
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