
L'intervista trasmessa ieri notte da "Porta a Porta" ha oggettivamente per Nicolò Amato un valore riparatorio. Mesi fa, all'inizio di tutta la storia della "trattativa" sul carcere duro per i mafiosi, l'ex responsabile del Dap era finito sul banco degli imputati, metaforico fino a un certo punto visto che fu sentito dalla procura di Palermo. A metterlo in quella situazione aveva contribuito con alcune dichiarazioni l'ex ministro Martelli, appena fu a sua volta chiamato in causa. Sulle prime Amato provò a difendersi sostenendo che le sue critiche al 41 bis erano ispirate da una diversa filosofia carceraria e rimasero nel cielo della teoria. Era evidente ma non servì a nulla. Allora Amato ha iniziato ad accusare il presidente Scalfaro - o comunque qualcuno vicino a lui - di essere stato parte attiva del baratto con la mafia. Ha funzionato. Dunque non bastano le proprie buone ragioni. Per salvarsi bisogna convenire sull'esistenza del crimine ipotizzato e offrire un colpevole. E farlo in tutta sincerità. Ricorda molto il metodo dell'Inquisizione. O quello di Stalin.
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