
La memoria presentata al giudice dell'udienza preliminare dai pm di Palermo può lasciare stupito il lettore almeno in un passaggio. Premesso che il reato non è ovviamente la trattativa ma le minacce stragiste dei mafiosi rilanciate sul governo, secondo l'accusa, da carabinieri e politici e che Cosa nostra minacciava col fine di ottenere una serie di benefici, i magistrati guidati da Ingroia scrivono che ai fini della consumazione del reato è del tutto irrilevante se i benefici richiesti siano stati effettivamente ottenuti, essendo quello contestato un reato "di pericolo", cioè un reato che sussiste anche se non si porta a termine. Nel caso delle minacce basta che il minacciato sia intimorito. Se poi rifiuta di fare quel che gli si vuole imporre, il reato si contesta lo stesso a chi lo ha minacciato e ai suoi portavoce. Giuridicamente fila ma nel caso della trattativa ha una conseguenza. Ma come? È da un paio d'anni che Travaglio ci spiega che ci sono stati cedimenti dello stato e vantaggi per la mafia che solo i ciechi e quelli in malafede non riescono a vedere e ora i suoi eroi sono così indecisi sulle prove raccolte che si premurano di dire al gup che più che una trattativa può essere stata una tentata trattativa e anche se probabilmente la mafia non ci ha guadagnato nulla il reato c'è lo stesso. Il punto chiave della memoria è questo, il resto sono parole. Per confermarlo basta vedere il Fatto che, pubblicando interamente la memoria, ha tagliato giusto questo incauto passaggio.
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