
Tutto si può dire della candidatura di Emma Bonino a Roma tranne che sia una «provocazione». È piuttosto il prodotto della situazione che si è determinata nel centrosinistra e che ha portato il Pd all’attuale vicolo cieco. Rompendo gli schemi, l’esponente radicale ha messo in campo la propria personale credibilità, un patrimonio che le viene riconosciuto anche dagli avversari. È la candidata, non solo dei radicali, ma di fatto anche di un piccolo arcipelago di gruppi «alternativi» e irregolari della sinistra; al tempo stesso è il naturale punto di riferimento di quel pezzo di società civile che ama il rispetto delle regole (per esempio nella raccolta delle firme per presentarsi alle elezioni) e crede nello stato di diritto.
Ciò significa che nel voto di marzo Emma Bonino è destinata comunque a raccogliere una percentuale non indifferente, suscettibile di condizionare e anzi di determinare l’esito del duello tra gli schieramenti maggiori. Se fino a ieri nel Lazio il ruolo di terza forza era attribuito in esclusiva all’Udc di Casini, oggi bisogna ammettere che si è fatta avanti una quarta forza. E che la battaglia per conquistare la regione si sta avviando verso scenari imprevedibili fino a pochi mesi fa. Darà luogo, comunque vada, a nuovi equilibri.
La stessa Renata Polverini, la candidata del centrodestra, non è un personaggio che rientra nei consueti binari. Al contrario, è una donna che smuove le acque: volitiva, a suo modo trasversale e dirompente rispetto ai soliti, ingessati riti partitici; certo diversa dalla Bonino, ma non così remota nel linguaggio e nel modo di comunicare. La virulenza con cui è stata attaccata proprio da destra, ossia dal Giornale di Feltri, dimostra che non si tratta di un candidato qualsiasi.
Vedremo se la competizione sarà tra queste due donne. Vedremo in particolare se il Partito democratico, dopo lungo penare, alla fine confluirà sull’esponente radicale. Sarebbe una novità clamorosa, non c’è dubbio. Il maggiore partito d’opposizione – accreditato nei sondaggi nazionali di un punteggio vicino al 30 per cento – che accetta e in un certo senso subisce una personalità indicata dai radicali. Ossia da un partito, ricordiamolo, che non ha niente a che vedere con Di Pietro: si dimostrerebbe così che la dialettica nel centrosinistra non è racchiusa in un recinto in cui corrono solo il Pd e l’Italia dei valori.
È chiaro, d’altra parte, che il nome di Emma Bonino evoca una frontiera laica assai lontana dalle tradizionali posizioni della Chiesa. Ed è noto che il centrosinistra a Roma è stato sempre molto attento a non fare campagna ignorando il Vaticano. Per fare un esempio, la linea della Polverini sul cosiddetto «quoziente familiare» è molto vicina alle tesi cattoliche, fatte proprie in particolare dall’Udc. E anche questo spiega la convergenza di Casini, nel Lazio, su questa candidatura.
Se il Pd finisse per accettare la Bonino saremmo di fronte a un rimescolamento di carte laico. Il partito di Bersani dovrebbe riconsiderare il suo profilo complessivo. Anche riguardo alle componenti cattoliche che sono rimaste al suo interno. Sarebbe un fatto destinato a lasciare un’impronta sulla vicenda futura del centrosinistra. Sia in caso di vittoria sia in caso di sconfitta nella regione. E comunque, se a questo punto il Pd scegliesse un nome minore (a parte quindi l’estrema eventualità di Zingaretti) il risultato elettorale sarebbe compromesso dalla corsa parallela di Emma Bonino.
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