
Offerta di dimissioni da vicecapogruppo vicario alla Camera e contestuale candidatura a capogruppo. Doppia mossa a sorpresa, o quasi, quella di Italo Bocchino, che incontra il capogruppo Fabrizio Cicchitto e chiede un incontro con Silvio Berlusconi. Suscitando sconcerto nel Pdl e qualche irritazione anche tra i finiani.
Bocchino consegna personalmente a Cicchitto una lettera: «È mia intenzione avviare il percorso che porterà alla formalizzazione delle mie dimissioni nell’assemblea del gruppo che dovremo convocare per eleggere i nuovi vertici». Il regolamento, avverte, «lega il destino del presidente e del vicario: simul stabunt, simul cadent». O stanno in piedi insieme, oppure cadono entrambi. L’assemblea è necessaria - continua - «anche per dare la possibilità alla minoranza di contare le proprie forze». Cosa che nel Pdl non è graditissima: «Infatti - conferma Bocchino - non credo proprio che accetteranno le dimissioni: non gli conviene». Nel caso accettassero, infatti, Bocchino perderebbe di sicuro, ma il voto consentirebbe di formalizzare la minoranza dei finiani nel gruppo.
L’ufficio stampa del Pdl si affretta a smentire Bocchino: se cade il presidente cade anche il vice, ma non il contrario. Bocchino non si scompone: «Non è un problema di regolamento, ma politico». Secondo alcune voci, il Cavaliere avrebbe definito «una farsa» le dimissioni. Ma Palazzo Chigi smentisce ufficialmente le indiscrezioni.
La lettera ha creato sconcerto anche tra i finiani. Roberto Menia si dice pronto a candidarsi contro Bocchino alla presidenza. E alla sua reazione gelida («Menia ha un problema con Fini, non con me») risponde con stizza: «Resto con Fini ma non mi presto ai ricatti di Bocchino, l’Italo Azzeccarbugli: le sue sono finte dimissioni da sceneggiata napoletana». Enzo Raisi è perplesso: «Né Bocchino né Menia hanno comunicato la loro decisione di candidarsi».
Contro Bocchino si scagliano anche i non finiani, come Giorgio Stracquadario: «E’ un vietcong di provincia». Carmelo Briguglio, invece, parla di «troppi personalismi anche tra i finiani». E si riferisce a Menia, non a Bocchino, «vittima di cecchinaggio». Il clima nel Pdl va verso la distensione, sostiene Briguglio: «L’armistizio è incipiente. I cannoni hanno smesso di tuonare e i toni sono diventati ragionevoli».
Bocchino fa capire di avere agito con il consenso di Fini: « È una lettera mia, chiedetelo, a lui se la condivide. Poi gli osservatori possono immaginarlo». Lo stesso Fini spiega a Ballarò che definisce le dimissioni di Bocchino «molto corrette». Cicchitto chiede un paio di settimane di «riflessione». Se sarà un no, Bocchino non ne farà un dramma, come spiega al Post.it di Luca Sofri: «Prenderò atto che non ci sono intenzioni di epurazioni. D’altra parte uno che teorizza il partito dell’amore e fa un’epurazione di chi si limita a rappresentare il dissenso interno, come lo spiega al mondo?». Mondo finiano che Bocchino vede piuttosto ampio: «La nostra corrente è di minoranza tra gli elettori: ma un quarto degli elettori sta con Fini».
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