I grandi interrogativi emersi sull’operato dei vertici della Protezione Civile pongono ancora una volta una questione che va al di là del contenuto del contendere, cioè le irregolarità e i reati compiuti attraverso una struttura che, in nome dell’emergenza, agisce spesso, per forza di cose, con minore cautela procedurale. Il problema che si pone sullo sfondo è invece quello di un Presidente del Consiglio che rifiuta l’idea della legalità come terreno di competenza della magistratura. Berlusconi, in sostanza, ha dichiarato, a caldo, subito dopo la diffusione degli addebiti nei confronti di Bertolaso, che il capo della Protezione civile non può essere colpevole perché lui lo conosce bene e perché la sua azione nei momenti di crisi è sempre stata efficace e tempestiva. Inoltre, per “scagionarlo” dall’accusa di aver usufruito di prestazioni sessuali in virtù del suo potente ruolo politico ed economico, ha dichiarato che ciò era evidentemente falso in quanto la donna in questione era una signora di “mezz’età”. Insomma, Berlusconi ha sfoderato una serie di argomentazioni etiche, estetiche e psicologiche per dimostrare che Bertolaso non può essere colpevole.
Ovviamente qui non si tratta di stabilire se e in che modo il capo della Protezione civile sia innocente, colpevole o un ingenuo circondato da furbi malfattori. Su questo credo sia necessario, oltre che utile, attendere lo svolgimento delle indagini in corso. Quello che invece è opportuno sottolineare è, ancora una volta, l’atteggiamento di capo fazione che il Presidente del Consiglio ha scelto di interpretare, in quanto ha immediatamente screditato un istituto fondamentale di un sistema democratico, le indagini in merito ad un possibile reato, a prescindere dalla conoscenza dei fatti e sulla base di valutazioni squisitamente personali.
L’avventore del bar lo può fare, il capo del governo, no. La logica di Berlusconi è: siccome è una mia “creatura”, non può essere colpevole. Sino a quando difende il proprio operato dalle accuse degli inquirenti, ci troviamo ancora nell’ambito del comprensibile: ritiene di aver agito sempre legalmente e di conseguenza considera gli addebiti che gli rivolgono infondati, pretestuosi e dunque politicamente orientati. Ma quando questa equazione riguarda ogni altra persona che gli sta a cuore, tale modo di attaccare la magistratura perde l’intelleggibilità di cui sopra, per diventare qualcosa di più pericoloso. In questo senso, Berlusconi sembra volersi ergere a strumento di definizione e di misura del bene e del male, del brutto e del bello, del possibile e dell’impossibile, sulla base unicamente del bisogno di screditare la magistratura. Una persona simpatica, capace, amica, gentile, non per questo deve essere una persona che non ha commesso reati. Far sparire la spazzatura da Napoli o gestire abilmente una crisi, come quella del dopo terremoto all’Aquila, non costituiscono prove di non colpevolezza. La natura umana è troppo complicata per sperare di trovare il bandolo della matassa tra il bene e il male e certo non è compito dei ministri o dei magistrati. Le democrazie liberali si limitano a censurare e colpire le condotte, non le personalità e per far questo si sono affidate allo strumento delle leggi - che dovrebbero limitare tutti, chi le fa così come chi le interpreta - per stabilire quale condotta, sulla base delle leggi esistenti, è lecita, corretta.
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