
«Veniamo da un periodo di grande difficoltà, veniamo da elezioni europee che, in base a quei numeri, ci porterebbero a lasciare sul campo dieci regioni. Ecco perché per vincere serve una sola cosa: smuovere le acque, cambiare il vecchio schema di gioco». E pazienza, confida ai suoi Pier Luigi Bersani, pazienza se per chiudere il risiko delle regionali ci vorranno ancora alcuni giorni. Intanto, chiusa l´esplorazione Zingaretti, il segretario ha di fatto avocato a sé la supervisione della pratica Lazio. E´ stato Bersani, in omaggio allo spirito-guida dell´allargamento della coalizione - «mi accusano di traccheggiare, ma qui si tratta di agganciare forze fresche alle nostre, anche a costo di ingoiare qualche rospo» - a chiedere appunto al presidente della provincia di Roma di lasciare ancora aperta la porta all´Udc. Fino all´ultimo, per tentare di stanare Casini, anche se lo stesso leader del Pd è convinto che si tratti praticamente di una missione impossibile, «temo che Casini abbia già chiuso sulla Polverini, per tenersi stretto Fini». E tuttavia, pure se la Bonino esce quasi con un´investitura del centrosinistra dai sondaggi di Zingaretti, in mezzo ad alcune resistenze dei cattolici, Bersani ci prova ancora. Ecco allora quest´ultimo tram della «personalità nazionale» da ricercare e lanciare in extremis nella mischia, prima di affidarsi alla leader radicale. Così come annuncia il comunicato non a caso messo a punto in tandem fra "l´esploratore" laziale e Largo del Nazareno. A chi pensa Bersani? In cima alla rosa il vicesegretario Letta e il presidente dei democratici, la Bindi. Esponenti dunque di primissimo piano del partito, cattolici, sulla carta con l´identikit ideale per il sì di Casini. La Bindi, raggiunta dai boatos nel pomeriggio all´uscita dalla messa dell´Epifania, ha l´aria di cadere dalle nuvole, «io non ne sono proprio nulla di questa storia della candidatura, nessuno mi ha ancora detto niente». La sensazione è che Rosy non sia interessata all´operazione, sia pure di fronte all´ultima-spiaggia Bonino. Qualche segnale sarebbe arrivato invece da Enrico Letta. Uno spiraglio, una battuta appena, «lasciami riflettere un po´», quanto basta al segretario per non mandare ancora in soffitta la strategia dell´alleanza con Casini nel Lazio. Ma si potrebbe giocare anche la carta dell´ex ministro Paolo Gentiloni, altro profilo giusto per agganciare l´Udc, a lungo protagonista della scena politica al comune di Roma. Letti-Bindi-Gentiloni, la terna dell´ultima offerta a Casini. Comunque girano diversi nomi, altri «protagonisti nazionali» del partito, potenziali quanto ipotetici candidati per riaprire le trattative. Come l´ex ministro Beppe Fioroni, a lungo braccio destro di Marini e leader dei popolari dentro Area democratica, la corrente di opposizione nel Pd.
«L´ipotesi Bonino – ha spiegato a fine giornata ai suoi collaboratori Bersani – è andata bene nell´istruttoria di Zingaretti, molti esponenti cattolici sono pronti ad appoggiarla. Un buon segnale». L´altra faccia della medaglia, nei colloqui dell´esploratore, la freddezza del segretario dell´Udc Cesa a stringere la mano tesa dal Pd. Bersani però vuole andare avanti. «Sopratutto qui, nel Lazio, non dimentichiamo che abbiamo spalle, che montagna ci tocca risalire, che bisogno di intrecciare alleanze per tornare a vincere: il ciclone Marrazzo». Le macerie del terremoto che ha travolto il governo di centrosinistra alla regione, le ferite profonde rimaste. Riconquistarlo sarà durissima. «Io perciò non mi lascio impressionare più di tanto da quelli che mi tirano per la giacca, che ci mettono fretta: fate presto fate presto a scegliere i nomi... Portate pazienza. Meglio prendersi qualche giorno in più, per tentare ancora di smuovere il vecchio quadro politico».
Come per l´altra spina del segretario, la battaglia in Puglia fra Boccia e Vendola, strada stretta fra la ricerca dell´alleanza con Casini e il rischio di rompere con il presidente della regione uscente. Un´uscita d´emergenza comunque il segretario ce l´ha in mente: a Bari, se restano due nomi in pista, sarà difficile non accettare il ricorso alle primarie.
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