
08/09/10
da Il Giornale
Fino a pochi giorni fa sembrava un colpo di sole settembrino di Rosy Bindi. Ieri i tabù sono caduti e la notizia di un «incontro» imminente tra Pier Luigi Bersani e Gianfranco Fini trapelava dagli stessi ambienti democratici e futuristi che la settimana scorsa si erano affrettati a ridimensionare quel «se si vota proporremo un'alleanza anche con Fli» pronunciato dall'esponente democratica. Bersani non ha escluso un faccia a faccia con Fini («finché si vive ci si incontra»), ma si è fatto scudo (in serata ha ribadito che «Fini è un esponente del centrodestra e fa parte di questo litigio che sta avvenendo nel centrodestra»), limitando il terreno di un'eventuale intesa alla legge elettorale. Da due giorni il segretario del Pd ripete che il presidente della Camera, su questo argomento, gli è piaciuto.
A Mirabello, Fini ha sparato sulla legge elettorale detta porcellum, in particolare sulle liste bloccate senza preferenze. Ma non ha detto quale alternativa vorrebbe, come rilevava a caldo Emma Bonino. Lo stesso Pd è profondamente diviso su uno schema che si ripete dai tempi del Pds (dalemiani sostanzialmente proporzionalisti e gli ulivisti pro maggioritario). Indecisione che ieri emergeva dalle parole di Bersani: «Bisogna privilegiare la partecipazione», tesi cara ai proporzionalisti e poi «non scoraggiare il bipolarismo», quindi il maggioritario. Senza contare che Fini, alfiere del maggioritario, potrebbe avere cambiato idea perché in caso di elezioni anticipate dovrebbe lottare per superare le soglia di sbarramento di Camera e Senato.
Insomma, c'è il sospetto ci sia un po' di strumentalità negli appelli alle riforme, visto che, a differenza degli anni Novanta, tutti la pensano in modo diverso su come andrebbero fatte. Sembra pensarla così Arturo Parisi, esponente democratico, che ha dedicato buona parte della sua vita politica a difendere il maggioritario. «Fini è piaciuto anche a me - ha spiegato ieri commentando Bersani -. Mi piacerà ancor più quando il suo pentimento diventerà ravvedimento operoso e le sue parole si trasformeranno in fatti». Parisi, che è anche politologo, si è sforzato di capire che sistema elettorale vorrebbe Fini: gli italiani devono potere scegliere i loro parlamentari, ma anche il premier. «Siamo sicuri di condividere con Fini entrambe le cose? Ai tempi dell'Ulivo e, ancor prima, nella stagione dei referendum istituzionali le condividevamo entrambe».
Ma l'idea di un governo di transizione fa proseliti, persino nell'Italia dei valori che sembrava avere una grande fretta di fare le elezioni. Antonio Di Pietro ha detto che vorrebbe «un governo tecnico, garantito dal Presidente della Repubblica, per la durata massima di 90 giorni». Sempre che siano sufficienti a trovare un legge elettorale che vada bene a un fronte che va dall'estrema sinistra a Fini; da un grande partito, a formazioni che i sondaggi accreditano al tre per cento.
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