
13/09/10
La stampa
«Di Pietro e Vendola ci dicano se vogliono costruire con noi il Nuovo Ulivo mettendo da parte i veti, sapendo che vogliamo proporre a Casini un'alleanza di governo stabile. Anche lui prima o poi ci dovrà dare una risposta». È spossato, dopo un'ora sotto il sole a parlare in piazza Castello, ma mentre si terge il sudore e si accende un toscano, Pierluigi Bersani tira il fiato e spiega il senso dei suoi messaggi lanciati dal palco.
Il leader del Pd ritiene sia giunta l'ora di «un'assunzione di responsabilità» di quelle forze di centrosinistra, non Rifondazione Comunista ben inteso, disposte ad accettare la sfida di governare. Insomma, Tonino e Nichi devono accettare un patto del Nuovo Ulivo con l'Udc mentre il Pd è disposto a mettere sul piatto le primarie. Qualcuno dice che se si andasse a votare entro pochi mesi non sarebbe saggio dilaniarsi in una competizione per il candidato alla premiership? «Beh, noi siamo capaci di fare le cose presto e bene come nessuno si immagina. E io le primarie sono pronto a farle», taglia corto Bersani. Per il resto, a tirare dentro le liste del Pd o dentro il Nuovo Ulivo i comunisti di Rifondazione, Bersani sostiene di non averci mai pensato, «perché vogliono stare fuori da un patto di governo e quindi con loro è possibile solo un'alleanza democratica su due paletti, nuova legge elettorale e difesa della Costituzione. Poi è ovvio che si presenteranno con le loro liste». Chiarito questo, c'è un altro interlocutore, Bossi, cui Bersani si rivolge «come a uno dei nostri», con una domanda: «Che ci stai a fare lì», gli ho voluto chiedere, «perché magari comincia a rendersi conto che non gli conviene stare dentro questo pateracchio...» Certo i toni usati sul palco sono diversi, ma fanno parte della dose di propaganda obbligata per risvegliare il proprio popolo. Un popolo che quando sente il saluto «cari amici e compagni» esplode in un «oohh!» liberatorio. E che tra applausi e risate per le battute sulla Lega, mostra di apprezzare pure quel video finale che scorre sul maxischermo: sulle note di «La verità è una scelta» di Ligabue, tutti a «rimboccarsi le maniche», militanti e leader come Bindi, Fassino, Franceschini e D'Alema, in ossequio al nuovo slogan. «E' stata una grande e bellissima Festa e chi ha voluto aggredirla non è riuscito a sfregiarla», parte in quarta Bersani, mollando subito dopo un calcetto alla Lega: «Abbassi la cresta chi vuole darci lezioni di territorio o a farci la caricatura come fossimo un partito in pantofole: abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno!».
È la fotografia di «un paese che scivola» con «redditi e consumi indeboliti» serve a declinare meglio la parola «lavoro» cui Bersani dedica tre pagine su trenta del suo discorso, farcito da una selva di attacchi al premier: alla sua «psicologia da miliardario al quale l'ottimismo non costa nulla»; alla «doppia morale, bella vita per il Capo e la sua cerchia e un'etica rigorista sulla pelle degli altri come il povero Welby»; alla «condizione femminile ridotta ad oggetto del berlusconismo; all'immagine dell'Italia all'estero «devastata». Dunque «lavoro e riscossa civica sono i pilastri del nostro progetto», con «una riforma fiscale che sposti il carico dall'impresa e dalla famiglia verso l'evasione e i redditi da patrimonio». Con una promessa accolta da un boato: «Mai più un condono!». Ed una stoccata alla Fiat: «Solo l'innovazione può darci lavoro nuovo, o pensiamo che le marche tedesche vendano più auto perché non ci sono i tre operai di Melfi?». Seguita dalle proposte: un credito d'imposta su nuova occupazione per 10 anni; e un nuovo patto sociale senza dividere i sindacati, perché «se un governo accende i fuochi, chi li spegnerà?».
E alla fine, il rilancio di un governo di transizione per una nuova legge elettorale. E poi al voto, senza l'incubo della vecchia Unione, ma con un Nuovo Ulivo in cui «ognuno si assuma le proprie responsabilità per un'alleanza stabile» con forze come l'Udc. Con una stoccata a Di Pietro, «basta col gioco di prendersela col Pd». E una a Vendola, «le primarie le abbiamo inventate noi, non tirarci per la giacca!». E alla Lega che fa «da sottovaso al Cavaliere», quella forza «popolare e della moralità pubblica» che «traccheggia in un governicchio» un avvertimento: aspettatevi «un'opposizione durissima», senza sconti anche sul federalismo nei prossimi mesi.
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