
È una notizia di drammatico rilievo - e assurdo il silenzio stampa che la circonda - che Rita Bernardini sia giunta al suo 40esimo giorno di sciopero della fame e che il suo "satyagraha" sia seguito a staffetta da militanti radicali, detenuti e loro parenti.
La segretaria di Radicali italiani lotta per il ripristino della legalità nel nostro Stato in tema di giustizia e carceri, cioè per l’uscita dell’Italia da quella "flagranza criminale di reato" - come la chiama Marco Pannella - che già ci è valsa una "sentenza pilota" della Corte europea dei diritti dell’uomo in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea (caso Torreggiani e altri), che sarà effettiva il prossimo 28 maggio nel caso che il nostro Paese non smetta di perpetrare «trattamenti inumani e degradanti» ai suoi reclusi.
La tortura, i suicidi, l’abuso della custodia cautelare, l’irragionevole durata dei processi, le celle straripanti di esseri umani, sono ancora la realtà nostrana. E che l’Italia riesca nell’impresa di bloccare la sentenza della Cedu, data la particolare ignavia in merito, pare impossibile, così come è altrettanto improbabile che Rita, conoscendone la tenacia, si arrenda a questa evidenza e riprenda a mangiare. Ciò che farà più male in assoluto, a lei e a tutti noi, è che la sua fame di verità, diritto e conoscenza, insieme alla nostra, rimanga un’esigenza insoddisfatta.
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