
Chissà se è tornato in mente a Silvio Berlusconi ieri mentre scherzava con Vladimir Putin a Villa Gernetto quel che era accaduto solo qualche mese fa, fra la fine dell’estate e l’autunno 2009. Prima il grande freddo fra Italia e Stati Uniti seguito all’annuncio dell’opzione berlusconiana per South Stream, il gasdotto russo preferito al Nabucco caro agli americani. Ci ful a protesta formale- perfino inusuale- del neo ambasciatore Usa a Roma, David H. Thom, che in un’intervista sibilò: «Siete troppo legati sul gas. Al Dipartimento di Stato, nel governo americano, il timore riguarda l’Europa, non solo l’Italia». Qualche
giorno dopo un articolo, buttato lì su La Stampa di Torino: "E ora gli americani puntano su Gianfranco", a ingigantire anche in chiave della querelle energetica, il viaggio in Usa del presidente della Camera, Fini, previsto per i primi di febbraio. Quel viaggio c’è stato, e così ne ha scritto America Oggi sotto il titolo "La cotta americana per Fini": «I liberal americani che hanno sostituito i più o meno neo-con repubblicani nelle stanze dei bottoni di Washington hanno inviato un segnale ai Palazzi di Roma che contano: per l’America il politico italiano più adatto a prendere il posto del premier Silvio Berlusconi oggi risponde al nome di Gianfranco Fini. Così è nella wish list (lista dei desideri) di chi è oggi al potere con Obama». Quasi in contemporanea su The Nation uscì un articolo sulla prudenza di Fini nel rapporto con Putin.
SUGGESTIONI
Saranno suggestioni, ma quel che è avvenuto ieri a villa Gernetto anche per questo non è sembrato così distante dalle piccole vicende politiche di casa nostra che avevano dominato la settimana precedente. Certo, l’alleanza sull’atomo fra Italia e Russia non provocherà scossoni diplomatici con gli Usa come quelli dell’autunno scorso. Ma si può essere certi che a Washington avranno gradito assai meno l’annunciato ingresso della Francia - con Edfnel gasdotto South Stream che diventerà operativo nel primo semestre 2012. Perché quell’asse fra Putin-Berlusconi e Sarkozy è proprio quel che apertamente temevano alla Casa Bianca: un’Europa che pezzo dopo pezzo si sottrae all’area di influenza energetica americana rischiando di dipendere in buona parte dalla Russia. Se il triangolo è quello, allora anche la scelta nucleare potrà creare preoccupazioni al di là dell’Atlantico. Perché anche la principale fonte di diversificazione energetica di Francia e Italia si legherà strettamente alla Russia di Putin. Ieri è stato firmato un memorandum di intesa scientifico legato al progetto Ignitor, che prevede la sperimentazione in un reattore termonucleare in Russia. Il progetto è antico, e la collaborazione scientifica non è una novità assoluta: insieme ai russi lavoravano da tempo i ricercatori di Enea, del Mit di Cambridge (da cui proviene il capo progetto, un italiano, il prof. Bruno Coppi), del Politecnico di Torino, del Cnr e di Ansaldo Ricerche. Ma insieme al rafforzamento della ricerca congiunta, Italia e Russia hanno siglato anche alleanze operative nel settore della costruzione di centrali e nucleari e della distribuzione dell’energia attraverso i due colossi nazionali: Enel e Inter Rao Ues. Sarà il gruppo italiano guidato da Fulvio Conti a realizzare la prima partnership pubblico-privata in Russia sviluppando la nuova centrale nucleare di Kaliningrad, composta da due gruppi da 1.170 Mw e con tecnologia Vver di terza generazione.
MATRIMONIO ATTESO
Un matrimonio che non deve stupire: anche se l’Italia in questi anni è stata fuori dal nucleare, Enel è forse fra i pochi gruppi al mondo ad avere già sviluppato e realizzato fuori dai confini nazionali centrali nucleari con tutte le tecnologie esistenti al mondo: la Vver in Slovenia (a Mohovice), la Candu in Romania, la tecnologia americana di Westinghouse in Spagna e l’Epr di terza generazione acquistata dalla Francia in Slovacchia. Non solo: Enel da tempo lavora in Russia, con partecipazioni in aziende che completano tutta la catena produttiva e distributiva dell’energia tradizionale (centrali elettriche). Insomma, c’è una storia imprenditoriale che non è di queste ore. Ma quando le partnership industriali vengono messe in fila una per una diventando tasselli di un patto fra governi come accaduto ieri a villa Gernetto fra Berlusconi e Putin, la materia diventa assai più incandescente e non per colpa di un reattore. Questo patto sull’atomo provocherà una scossa in più nei rapporti fra Roma e Washington. E allora rileggersi quelle cronache e quegli entusiasmi sulla stampa Usa per il viaggio di Fini del febbraio scorso può essere istruttivo.
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