
Domenica scorsa il presidente del Consiglio ammetteva di essere molto preoccupato per le notizie pubblicate dai quotidiani e per l’evoluzione del caso. Aggiungeva però sottovoce un auspicio: quello di riuscire ancora una volta ad affrontare la tempesta, incassare il colpo, confermando di avere spalle più larghe di quelle che in tanti, nel corso degli scandali affrontati nell’ultimo anno, hanno spesso presunto.
Ieri, come due giorni fa, Berlusconi era ancora a casa sua, ad Arcore. Ma con una differenza sostanziale: era aumentata la preoccupazione ed era certamente scomparso l’auspicio. Il caso si era trasformato, a tratti, nell’emblema di qualcosa impossibile da difendere. A telefono, Gianni Letta, informato degli umori (non benevoli) del Quirinale, consapevole dell’escalation parlamentare e della saldatura fra le diverse opposizioni, ha offerto una convinzione che a molti è risuonata come un verdetto: la situazione ha superato il livello di guardia, la gestione politica della vicenda è divenuta forse troppo onerosa.
Da ieri mattina, nel capo del governo come nel sottosegretario alla presidenza del Consiglio, c’è la consapevolezza che il caso in cui si ritrova coinvolto il ministro dello Sviluppo economico è ormai arrivato a un bivio. Che non si può attendere per una spiegazione esauriente sino al 14 maggio, quando Scajola si presenterà davanti ai magistrati. Ma soprattutto c’è il timore che il sacrificio delle dimissioni è divenuto forse ineludibile.
Non è un caso se il Cavaliere ha già ragionato sul successore. Ovviamente non sarebbe un’operazione indolore, non sarebbe un semplice avvicendamento: ne verrebbe intaccata fortemente l’immagine del partito, del governo, dello stesso premier, visto che Scajola è uno dei suoi uomini di fiducia ormai da molti anni, visto che si è già dimesso una volta, visto che finora è stato lui stesso a fargli da avvocato e dovrebbe ammettere, anche lui, di aver commesso qualche errore di valutazione.
Con una battuta, che a chi l’ha ascoltata non è parsa nient’altro che tale, il premier ha indicato in Luca Cordero di Montezemolo (che ha ripetuto un numero infinito di volte di non essere disponibile per esperienze politiche) un possibile successore di Scajola, in caso di dimissioni. Nei ragionamenti meno immediati e più meditati il nome di Paolo Romani, che è vice di Scajola e che ha le deleghe alle Comunicazioni, si inserisce in un quadro più verosimile. Mentre sembra che Giancarlo Galan, appena insediato al ministero dell’Agricoltura, ha già fatto sapere a chi di dovere che non gli dispiacerebbe traslocare immediatamente: ovviamente allo Sviluppo economico.
Una richiesta che anche lo stato maggiore della Lega ha già avanzato. Intorno alle 13, ieri, prima di
partire per la Tunisia, da cui sarebbe rientrato in serata in modo precipitoso, il protagonista della vicenda ha chiamato Berlusconi a telefono. Con l’umore e il tono di chi ha bisogno di conforto ha cercato una conferma più psicologica che politica: «Faccio quello che tu mi chiedi», il senso del messaggio. Il premier non gli ha chiesto, almeno ieri, nessun sacrificio. Ma non è da escludere che una richiesta non arrivi oggi, quando rientrerà a Roma, per vedere l’emiro del Kuwait, incontrare il segretario generale dell’Ocse, ma soprattutto per occuparsi direttamente della faccenda.
Ieri pomeriggio un ministro di primo piano del governo la metteva giù così: «Purtroppo la mole di informazioni che sono state pubblicate attribuisce ormai a Scajola l’onere della prova. Sembra incredibile quello che gli viene addebitato, ma sembra anche incredibile quanto da lui stesso dichiarato. E come abbiamo visto per il caso Pennisi, a Milano, il nostro partito non può reggere un caso in cui la parola corruzione può essere spesa in questo modo, senza fornire spiegazioni adeguate».
Erano più o meno le stesse considerazioni che si ascoltavano in bocca ai maggiorenti del Pdl e allo staff del presidente del Consiglio. Oggi un incontro a Roma fra Berlusconi e il suo ministro dovrebbe essere chiarificatore secondo alcuni potrebbe essere anche l’ultimo tra colleghi di governo.
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