
«La ridiscesa in campo di Berlusconi mi rende personalmente felice, così torneranno a dare addosso a lui anziché me». Non deve avere ben compreso che cosa sta per accadere, il gongolante Roberto Formigoni, per il quale giusto ieri è stato chiesto dai pm di Milano un anno e mezzo per diffamazione ai danni dei Radicali. O forse fa finta di non averlo capito, il governatore della Lombardia che ripete di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia per finanziamento illecito e corruzione nell’inchiesta sulla sanità nata dal crac del san Raffaele.
Forse, al pari di Formigoni, fanno finta di non averlo capito anche i molti che, a sinistra, sghignazzano sulla ricandidatura di Berlusconi, lasciandosi troppo distrarre dalla clamorosa figuraccia di Alfano e dal ghiottissimo tema delle rappresaglie del Cavaliere che s’abbatteranno ora sullo sgangherato notabilato del Pdl, varie bande di ex An e forzisti, che dava per scontato il pensionamento anticipato di nonno Berlusconi ai giardinetti.
La ricandidatura di Berlusconi in vista del 2013 è una mossa di origine difensiva che ha già assunto natura offensiva, di attacco: e nell’operazione strategica che si profila – il recupero della Lega – il passaggio tattico del taglio della testa di Formigoni è essenziale. Ricapitolando: la ricandidatura a premier nasce a tutela degli interessi aziendali e passa per una ricomposizione attorno al loro padrone delle balcanizzate frattaglie del Pdl, incautamente affidate ad Alfano. Ma produce uno sciame sismico che investe la Lega di Maroni e condiziona pesantemente i giochi sulla legge elettorale.
L’insistenza sul patto di scambio Pdl-Lega (che oggi in senato sono la maggioranza) presidenzialismo-federalismo serve a massaggiare e sciogliere i muscoli indolenziti del vecchio asse del Nord. Ciò detto, se si trova un’intesa sul proporzionale – funzionale all’obiettivo berlusconiano di Grosse Koalition – bene, altrimenti Pdl e Lega sono in grado di impedire che il Porcellum sia modificato in un punto considerato vitale per il Cavaliere: i premi di maggioranza su base regionale che potrebbero consegnare nel 2013 a Pdl-Lega il senato e al Pd coi suoi alleati la camera. Per non dire di un’Udc non coalizzata col Pd che, per entrare al senato, dovrebbe superare la soglia dell’8 per cento.
Doppia maggioranza uguale grossa coalizione: questa la scommessa di Berlusconi. S’aggiunga la partita per la successione a Napolitano, dove peseranno anche i delegati regionali per metà di centrodestra. Si dirà: perché mai Maroni dovrebbe accordarsi con il reperto archeologico Berlusconi? Lo si era detto anche prima del patto presidenzialismo-federalismo, rivelato da Europa mentre la Lega dichiarava il contrario: «Non ci interessa. Il presidenzialismo è fuori tempo massimo». Non era vero.
È vero, invece, che oggi Maroni sta già trattando con Berlusconi: unità d’azione sulla legge elettorale in vista di un’alleanza nel 2013, a sua volta in cambio della Lombardia alla Lega con elezioni anticipate in primavera. I primi contatti sono stati avviati.
Nessuno si lasci ingannare dalle cortine fumogene e dalle ironie leghiste sul ritorno di Berlusconi: «Se le tre grandi regioni nel Nord agissero come macroregioni potremmo dettare legge a Roma e Bruxelles», teorizza Maroni. Dopo Veneto e Piemonte, l’obiettivo è la Lombardia e Calderoli ha chiesto la testa di Formigoni in congresso tra gli applausi. Tosi conferma. «Le alleanze riguardano il consiglio federale e Maroni. Dipenderà molto da quel che avverrà in Lombardia». Più chiaro di così.
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