
Niente paura, niente anniversari o ricorrenze. Solo un momento di riflessione su Luigi Einaudi, nel pieno della crisi morale ed economica che travaglia gli italiani, promosso per oggi pomeriggio alle 17 dai Radicali italiani in via di Torre Argentina 76. Chissà che non ci scappi un impertinente invito a Mario Monti a rileggere quella pagina einaudiana, che il presidente del consiglio conosce benissimo, in cui il padre del liberismo liberale parlava della patrimoniale come della tassa più giusta fra le poche tasse giuste, l’unica che, pagata alla successione ereditaria, mette tendenzialmente i figli dei redditieri e i figli degli altri sullo stesso punto di partenza.
Uguaglianza dei punti di partenza, dogma (unico dogma) della cultura antidogmatica per eccellenza, appunto il liberalismo: sia nella sua concezione politica liberale che in quella economica liberista, entrambe fondate sulle regole, cioè sull’etica. Merce rara, anzi scomparsa in Italia, pei governi del profitto e del basso impero, e per il qualunquismo e l’antipolitica dei consumatori di tavolini al bar.
L’incontro di Torre Argentina, moderato da Pier Paolo Segneri (nostro collaboratore) e aperto da Mario Staderini, segretario di Radicali italiani (ma con prevedibile intervento conclusivo di Marco Pannella), si svolgerà tra un giovanissimo allievo di Dario Antiseri, Enzo Di Nuoscio, ordinario di metodologia delle scienze sociali, e Corrado Ocone, studioso di filosofia e teoria politica alla Luiss: l’uno, come potete leggere nel suo articolo su Europa, più immerso nella cultura einaudiana, l’altro in quella crociana, entrambi convinti che i due maestri dicevano le stesse cose: Croce con riferimenti alla filosofia idealistica tedesca, Einaudi a quella empirica inglese. Dicevano che un governo e una società liberali si realizzano volta a volta identificando le forze e le lotte che in quel momento svolgono la funzione liberale nella società. Per Croce, anche una comunità di monaci che mettano in comune i beni e rompano così l’economia del feudo; per Gobetti, discepolo ed editore di Einaudi, il proletariato e le lotte operaie degli anni Venti. Oggi identificheremmo come forze che svolgono la funzione liberale i giovani che cercano lavoro e gli adulti che lo perdono ma non si arrendono, in una società che ha smarrito, dopo l’assalto dei pirati, la bussola e l’equilibrio della navigazione. La bellezza della lotta fu il titolo che Gobetti editore diede a un libro del suo maestro.
Insomma, questa iniziativa di Radicali italiani offrirà la possibilità di dire qualcosa anche ai «commessi viaggiatori del liberismo », come Croce definiva illustri professori del suo tempo e definirebbe anche certi di oggi, diciamo con irriverenza Giavazzi, De Nicola, che hanno sempre le ricette salvifiche su tutto. Di Einaudi, quei commessi viaggiatori conoscevano poco, perché il suo era liberismo delle regole – spiegheranno Di Nuoscio e Ocone –, un liberismo dove lo Stato e le grandi forze sociali hanno un ruolo forte, tutt’altro dall’odierna vulgata che ha celebrato i suoi trionfi nei governi Berlusconi. «Il liberalismo è l’anarchia degli spiriti sotto l’imperio delle leggi», diceva il maestro torinese, incontrandosi col filosofo napoletano. A noi è mancato «l’imperio delle leggi». Abbiamo confuso liberismo e bunga bunga. Questione di ottica, di lunga vista: perché il liberismo di Einaudi era metaeconomico, cioè etica, come il liberalismo di Croce era metapolitico, cioè etica. La quale è politica ed economia contrapposte alle tangentopoli e alle finanziopoli, lebbre che costringono oggi l’Occidente in terapia intensiva e con prognosi riservatissima.
I due grandi del Novecento credevano nell’uomo che si fa da sé e non accetta il parassitismo di Stato. Anche quando dicevano cose che al novanta per cento degli italiani non piacciono: come abolire il valore legale del titolo di studio. La suprema eguaglianza che esso “assicura” è suprema disuguaglianza, diceva Einaudi, quella del 110 e lode conseguito – diciamo noi – alla Bocconi e il 110 e lode conseguito a Canicattì. Nei concorsi pubblici sono valutati con eguale punteggio. Anche questo è parassitismo di Stato. Come la mancata patrimoniale sui redditi alti. Due modi per aggravare le diseguaglianze, deprimere la società, confinare il merito, nonostante le ricette dei commessi viaggiatori del liberismo di comodo.
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