
Neonati e già con un'ipoteca di 3.500.000 euro di debito pubblico a testa, il più alto d'Europa. E' quanto emerge dal terzo Atlante dell'Infanzia (a rischio) di Save the Children, presentato a Roma, nel corso di un dibattito in collaborazione con il garante nazionale per l'Infanzia e l'adolescenza Vincenzo Spadafora, con la partecipazione del presidente Istat Enrico Giovannini. Bambini destinati a essere sempre meno nel prossimo futuro, 15 ogni 100 nel 2030 (-1,5% rispetto a oggi) e con meno peso politico (4% incidenza voto, -0,2%). Con aiuti di poche decine di euro, 25 euro annui la spesa pro-capite dei comuni in servizi per l'infanzia e famiglie in alcune regioni del Sud.
Inizia prestissimo l'erosione dell'indice di futuro: insieme alla loro cameretta, i 560mila neonati quest'anno si ritrovano in eredità un'ipoteca di 3.500.000 euro di debito pubblico a testa (il più alto d'Europa). A cui si somma la povertà che cresce, anziché arretrare, fra la popolazione under 18: 7 minori ogni 100 in Italia, pari a 720mila, vivono in povertà assoluta, cioè privi di beni e servizi che assicurino loro un livello di vita accettabile. 417mila nel solo Sud, con un aumento rispetto al 2010 di 75mila piccoli grandi poveri, l'equivalente dell'intera popolazione infantile di Taranto e Messina.
La spesa pro-capite da parte dei comuni per famiglie e minori in regioni come la Calabria ammonta a 25 euro, oltre 8 volte in meno rispetto all' Emilia Romagna (282 euro annui). Con uno sbilanciamento nell'offerta di servizi cruciali come gli asili nido: in Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Molise è compreso fra 2 e 5,5 il numero di bambini (ogni 100 da 0 a 2 anni) in carico agli asili nido pubblici o ad altri servizi integrativi, a fronte dei 27-29 in Valle d'Aosta, Umbria, Emilia Romagna.
E' in crescita anche l'area della disaffezione allo studio, anche fra ragazzi senza particolari carenze affettive, relazionali o economiche: sono quasi 800mila i giovani tra 18-24 anni dispersi, che cioè hanno interrotto gli studi fermandosi alla terza media e non iscrivendosi neanche a corsi di formazione. In Sicilia e in Sardegna la dispersione scolastica è 15 punti rispetto all'obiettivo europeo (pari al 10% ), con 25 giovani fra 18 e 24 anni fermi alla terza media. Altissimo il livello di disoccupazione: un giovane sotto i 25 anni su 3 è disoccupato. Molti di questi hanno la laurea: la crescita maggiore della disoccupazione giovanile, pari a quasi il 21%, si è avuta infatti tra i laureati.
Disoccupati oppure scoraggiati: l'Italia detiene anche il triste record della potential additional labour force fatta da quei giovani di 15-24 anni che, pur dichiarandosi intenzionati, rinunciano a cercare un lavoro. Gli scoraggiati italiani sono 562mila, il 34% della popolazione attiva in quella fascia d'età, quattro volte la media europea (7,8%). E nel Mezzogiorno si concentra la gran parte dei 314mila disconnessi culturali, bambini e adolescenti da 6 a 17 anni che negli ultimi 12 mesi non sono mai andati a cinema, non hanno aperto un libro, né un pc né Internet, né fatto uno sport.
A muoversi in uno scenario così difficile e minaccioso, con pochi aiuti, poche risorse, pochi stimoli saranno, come se non bastasse sempre in meno i giovani e i bambini e per di più privi di peso politico. Secondo lo scenario demografico più verosimile, nel 2030, quando chi nasce oggi compirà 18 anni, ci saranno 10 milioni di minori, per un'incidenza pari al 15,4%, 1 su 5 sarà straniero. 60mila le nascite in meno rispetto al 2011, con un decremento della natalità dell' 1,5% , superiore alla media europea. Così nel 2030, 100 persone in età da lavoro dovranno farsi carico di 63 inattive, per due terzi anziane. Nel 2050 la fascia di popolazione 83-85 eguaglierà quella 0-2 anni.
E nel 2030, quando chi nasce oggi avrà 18 anni e potrà votare, sarà del 4% l'incidenza del voto dei giovanissimi (18-21 anni) rispetto al resto dell'elettorato. Una voce sempre più flebile (-0,2% rispetto ad oggi), di nuovo e soprattutto, al Sud (nel Mezzogiorno andrà perso un voto su 5).
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