
12/04/10
Corriere della Sera
Sabato li hanno accusati di aver organizzato un complotto per uccidere il governatore della provincia dell’Helmand, Gulabuddin Mangal. Ieri di aver ammazzato nel 2007 l’interprete di Daniele Mastrogiacomo, il ventitreenne Adjmal Nashkbandi che fu rapito dai talebani con il giornalista italiano. Sembra aver assunto i contorni di un inquietante gioco al rialzo, ieri, l’inchiesta del servizio segreto afghano National, directorate security (Nds) contro i tre volontari italiani dell’ospedale di Emergency a
Lashkar Gah e le altre sei persone arrestate con loro.
Il portavoce del governatore Mangal che sostiene di essere la vittima scelta per l’asserito complotto sventato, Daoud Ahmadi, ha fatto entrare nel circuito dei mezzi di informazione una voce lasciata circolare già due giorni fa nell’insidiosa provincia dell’Afghanistan del Sud: «Tutti i nove detenuti hanno confessato», ha dichiarato Ahmadi, ripreso dal «Times» on line. «Sono accusati di collegamenti con Al Qaeda e i terroristi», ha aggiunto. Da parte italiana, fino a ieri sera, la tesi sulla confessione non ha trovato alcun riscontro.
In mattinata il chirurgo Marco Garatti, l’infermiere Matteo Dell’Aira e il responsabile della logistica dell’ospedale Matteo Pagani erano stati raggiunti per un colloquio dall’ambasciatore d’Italia accreditato a Kabul, Claudio Glaentzer. Conosciuto per operazioni riuscite su casi disperati, come una che ridiede la vista a un bambino con il cranio attraversato da una pallottola, Garatti aveva un’aria smarrita. È parso uno che non sapeva darsi risposte sul perché fosse capitato in un groviglio del genere in una sede del Nds. Al Corriere risulta che sarebbe arrivato a Laskhar Gah meno di una settimana fa per sostituire un collega.
Stando a un consigliere del governatore, Wahidhullah, citato dall’Ansa, negli interrogatori sarebbe emerso che per il complotto «Garatti avrebbe ricevuto danaro dai talebani»: «Il governatore di solito si intrattiene con le vittime del conflitto nell’ospedale di Emergency per portare assistenza e denaro. Era previsto che in una delle prossime visite (...) Mangal avrebbe trovato a sorpresa nella sala, dove erano ricoverati i feriti, i talebani armati per ucciderlo».
La versione dell’accusa è che a questo progetto sarebbero dovuti servire le due pistole e le due cinture esplosive sequestrate in un magazzino dell’ospedale. Non era facile ieri immaginare tre persone partite dall’Italia per curare, o far curare, corpi straziati nella parte di chi agisce per straziare altri corpi. Davanti al centro di Emergency, sgradito al Nds, apprezzato dalla popolazione, si sono radunate duecento persone contestando l’organizzazione umanitaria. E’ parsa una parata poco spontanea.
La voce ufficiale del governo italiano in materia, il ministro degli Esteri Franco Frattini, ha continuato a mantenere le distanze dall’attività degli italiani arrestati. «L’eventuale confessione dei tre è da verificare, ma noi aspettiamo i risultati delle indagini. Vi sono dei fatti, sono state trovate armi molto pericolose nell’ospedale gestito da Emergency. Quindi noi vogliamo conoscere la verità, in fretta», ha detto. Poi: «Prego con tutto il cuore, da italiano, che non sia vero. Perché l’idea che vi possano essere miei connazionali che abbiano commesso anche una parte di quelle accuse mi fa rabbrividire». Frattini, che aveva telefonato al collega afghano Zalmay Rassoul, ha fatto sapere di avere ricevuto «assicurazioni» sulla «tutela dei diritti» dei tre e ha addebitato a Gino Strada, il fondatore di Emergency, «dichiarazioni politiche» e «non di un medico che vuole salvare la vita alla gente».
Per capirne di più è utile la seduta di giovedì scorso alla Camera. Arturo Parisi e altri 35 del Pd presentarono in marzo un’interpellanza urgente per conoscere il giudizio del governo su affermazioni di Strada del 28 febbraio che attribuivano alla forza multinazionale Isaf «un crimine di guerra» bloccando «ambulanze» con feriti diretti verso gli ospedali. La risposta è venuta dal sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga: affermazioni «ingiustificate e offensive», «inaccettabili». Di rado, ormai, casi del genere restano nei confini nazionali.
Lashkar Gah e le altre sei persone arrestate con loro.
Il portavoce del governatore Mangal che sostiene di essere la vittima scelta per l’asserito complotto sventato, Daoud Ahmadi, ha fatto entrare nel circuito dei mezzi di informazione una voce lasciata circolare già due giorni fa nell’insidiosa provincia dell’Afghanistan del Sud: «Tutti i nove detenuti hanno confessato», ha dichiarato Ahmadi, ripreso dal «Times» on line. «Sono accusati di collegamenti con Al Qaeda e i terroristi», ha aggiunto. Da parte italiana, fino a ieri sera, la tesi sulla confessione non ha trovato alcun riscontro.
In mattinata il chirurgo Marco Garatti, l’infermiere Matteo Dell’Aira e il responsabile della logistica dell’ospedale Matteo Pagani erano stati raggiunti per un colloquio dall’ambasciatore d’Italia accreditato a Kabul, Claudio Glaentzer. Conosciuto per operazioni riuscite su casi disperati, come una che ridiede la vista a un bambino con il cranio attraversato da una pallottola, Garatti aveva un’aria smarrita. È parso uno che non sapeva darsi risposte sul perché fosse capitato in un groviglio del genere in una sede del Nds. Al Corriere risulta che sarebbe arrivato a Laskhar Gah meno di una settimana fa per sostituire un collega.
Stando a un consigliere del governatore, Wahidhullah, citato dall’Ansa, negli interrogatori sarebbe emerso che per il complotto «Garatti avrebbe ricevuto danaro dai talebani»: «Il governatore di solito si intrattiene con le vittime del conflitto nell’ospedale di Emergency per portare assistenza e denaro. Era previsto che in una delle prossime visite (...) Mangal avrebbe trovato a sorpresa nella sala, dove erano ricoverati i feriti, i talebani armati per ucciderlo».
La versione dell’accusa è che a questo progetto sarebbero dovuti servire le due pistole e le due cinture esplosive sequestrate in un magazzino dell’ospedale. Non era facile ieri immaginare tre persone partite dall’Italia per curare, o far curare, corpi straziati nella parte di chi agisce per straziare altri corpi. Davanti al centro di Emergency, sgradito al Nds, apprezzato dalla popolazione, si sono radunate duecento persone contestando l’organizzazione umanitaria. E’ parsa una parata poco spontanea.
La voce ufficiale del governo italiano in materia, il ministro degli Esteri Franco Frattini, ha continuato a mantenere le distanze dall’attività degli italiani arrestati. «L’eventuale confessione dei tre è da verificare, ma noi aspettiamo i risultati delle indagini. Vi sono dei fatti, sono state trovate armi molto pericolose nell’ospedale gestito da Emergency. Quindi noi vogliamo conoscere la verità, in fretta», ha detto. Poi: «Prego con tutto il cuore, da italiano, che non sia vero. Perché l’idea che vi possano essere miei connazionali che abbiano commesso anche una parte di quelle accuse mi fa rabbrividire». Frattini, che aveva telefonato al collega afghano Zalmay Rassoul, ha fatto sapere di avere ricevuto «assicurazioni» sulla «tutela dei diritti» dei tre e ha addebitato a Gino Strada, il fondatore di Emergency, «dichiarazioni politiche» e «non di un medico che vuole salvare la vita alla gente».
Per capirne di più è utile la seduta di giovedì scorso alla Camera. Arturo Parisi e altri 35 del Pd presentarono in marzo un’interpellanza urgente per conoscere il giudizio del governo su affermazioni di Strada del 28 febbraio che attribuivano alla forza multinazionale Isaf «un crimine di guerra» bloccando «ambulanze» con feriti diretti verso gli ospedali. La risposta è venuta dal sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga: affermazioni «ingiustificate e offensive», «inaccettabili». Di rado, ormai, casi del genere restano nei confini nazionali.
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