
03/11/10
Il Foglio
Nessun predellino riscatterà il panorama di macerie.
Mai dire mai, ma stavolta è difficile che vi possa essere un predellino che tenga. Non tanto per Ruby (anche se...), né perché gli elettori vogliano tornare al governo costituzionale annuale (figurarsi!) o per l’eterna lotta tra il Cav. e la magistratura. Piuttosto perché dal 1994 si parla di riforma della giustizia e non se n’è vista l’ombra. Doveva far parte dei 5 punti. e invece si parla solo del lodo Alfano. Il governo ha affrontato bene la crisi economica, ma un progetto complessivo includente una riforma fiscale non si vede, Sulla scuola si sono fatte buone cose, ma l’università è all’agonia e si è persa l’occasione di approvarne la riforma cascando nella trappola di un ope legis mascherato (migliaia di posti riservati) che era finanziariamente insostenibile. Inutile continuare, Il nodo è l’assenza di un progetto, la quale deriva da un gran vuoto culturale, dalla sfiducia nella possibilità di avere una propria cultura, per cui si è andati a raccogliere quella altrui, prevalentemente a sinistra. Non a caso il manifesto di ottobre dei finiani ripete come un mantra la parola "cultura". Hanno capito che il nucleo della crisi era questo, ma poi si sono rappresentati come paradigma della difficoltà del centrodestra: incapaci di dare sostanza alla parola hanno raccattato qua e là slogan di sinistra, componendoli in un futurismo libertario che evoca il dannunzianesimo e il fascismo ante marcia. Peraltro sono slogan vuoti come vesciche perché la sinistra è ormai priva di cultura politica, e di cultura tout court. Sapendolo maschera il vuoto come può, magari facendo convegni sul come "misurarla". Invece, a destra hanno creduto che vi fosse ancora qualcosa da ripescare a costo di umiliare i propri rari intellettuali e i propri elettori. Ma quando non c’è cultura politica, quando non c’è un progetto per il paese è impossibile contrastare lo sciocchezzaio antirisorgimentale in cui sia per affogare la triste celebrazione dell’Unità. E naturalmente non può esservi neanche un partito. Il grande guaio è che il panorama di macerie è totale e, se non verrà un sussulto da qualche parte, c’è da preoccuparsi seriamente.
Giorgio Israel
Lo scotto della crisi italiana non deve pagarlo solo il Cav.
Il 25 luglio 1943 Mussolini veniva defenestrato da un ordine del giorno del Gran Consiglio del fascismo, e il re poteva farlo arrestare e confinare sul Gran Sasso. Finiva così il suo lunghissimo governo, ma finiva grazie a unta iniziativa nata all'interno del regime, la sua creatura politica.
Brutta immagine, da evitare accuratamente. Chi parla di un 25 luglio di Berlusconi ritiene non sia possibile discostarsi dal modello mussoliniano, chiunque sia a presentarsi dopo di lui - Berlusconi - a raccattarne, o a rinnegarne, l'eredità. Ed è proprio così, anche se divaghiamo prendendocela con uno solo degli attori in commedia. Il vero problema del paese è il sessantennale regime dei partiti - di questi partiti - che una persona di lunga navigazione politica, Beppe Pisanu, ha definito come intrisi, tutti assieme, di una identica immoralità. Definizione persino inadeguata.
Per i Radicali, i partiti (gli attuali partiti) devono essere indicati come causa strutturale del vero e proprio sfascio istituzionale italiano: si legga, in proposito, il "Libro Giallo: la peste italiana", opera del "Sathyagraha radicale" del 2009.
Per questo i Radicali sono contrari a elezioni anticipate, che non risolverebbero nulla ma confermerebbero la situazione presente nelle sue varie manifestazioni, dal collasso della giustizia (di cui il dramma delle carceri è solo una manifestazione) ai brogli e falsi elettorali come quelli commessi in Lombardia in nome e per conto di Formigoni. Le vicende italiane -ripete Pannella- danno forma a una sorta di "metamorfosi del male", sempre uguale a se stesso nonostante le apparenti diversità. Quello di cui c'è oggi urgenza è una vera e propria lotta di liberazione antipartitocratica (brutta parola, ma insostituibile) a partire da forme di "non-collaborazione e resistenza agli atti più violenti del regime", come recita la mozione generale del recente IX congresso di Radicali italiani. Insomma: Berlusconi non è la causa della crisi italiana ma ne è anche lui, il prodotto. Perché dovrebbe pagarne lo scotto lui solo?
Angiolo Bandinelli
Basta chiacchiere, bisogna pensare alla terza repubblica
La chiesa, la Confindustria, gli alleati, perfino i sodali l’hanno abbandonato o lo stanno mollando: che il Cavaliere sia arrivato a fine corsa mi pare lo vedano anche gli orbi. E non vale la pena di discutere neppure il quando e il come dovrà scendere, per quanto importanti - di mezzo c’è il fatto se ne esce "vivo" o "morto" - in fondo sono dettagli. Certo, di fronte a una crisi di governo il verificarsi della doppia eventualità che sia impraticabile la creazione di una diversa maggioranza in questo Parlamento e che le conseguenti elezioni anticipate si facciano con la legge elettorale in vigore, potrebbe paradossalmente ridare una chance al premier. Ma, ammesso e non concesso che capiti - la coglioneria degli avversari può arrivare fino a tal punto? - ragionevolmente è assai poca la strada che comunque potrebbe ulteriormente fare. No, il tema vero, semmai, è un altro: siccome con lui finisce quella che impropriamente abbiamo chiamato Seconda Repubblica, abbiamo idea di come e con quali forze costruire la Terza? Quella che stiamo vivendo, infatti, non è solo l’agonia del governo Berlusconi e del centro-destra, è il fallimento del bipolarismo all’italiana inaugurato fin dal giugno 1991 con il referendum sulla preferenza unica. Il paese rivive - nella sostanza ovviamente, perché le differenze puntuali sono molte - la drammatica stagione 1992-1994 che portò alla fine della Prima Repubblica senza però che nessuna discontinuità costituzionale sia mai intervenuta a definire la nuova stagione politica. Esserne consapevoli oggi deve significare rendere più breve possibile il tempo della transizione e non ripetere gli errori di allora. Cioè sapere che non può essere virtuoso il passaggio tra una stagione politica e l’altra senza il cambiamento della legge elettorale, dei sistema politico e della Costituzione. Poi si può discutere in quale direzione operare questi cambiamenti, ma che ci vogliano è sicuro. Allora, invece di avvitarsi intorno ai giudizi su questo governo - cui, va da sé, non sarebbe logico né regalare una promozione che non merita né una condanna senza distinguo - o sulla fine personale di Berlusconi, cui personalmente sono indifferente, sarebbe opportuno che il pubblico dibattito s’indirizzasse verso quei tre decisivi cambiamenti di cui sopra.
Enrico Cisnetto
Niente stadio nuovo all’Inter? Togliamo la fiducia. Dc ala dura
E’ arrivato il 25 luglio? No! Il governo andrà avanti tutta la legislatura. Problemi grossi non ne vedo, Concentriamo tutto sull’Expo. Fare cadere il governo per fare cosa? Poi non comprano più i nostri titoli di stato. Se bisogna cambiare si cambia a fine legislatura, Il governo è questo, che finisca il suo mandato. Poi ne fa altri due o tre, fino al 2030. Poi basta, Poi c’è da organizzare le Olimpiadi che ci hanno assegnato oggi. E’ notizia di questi minuti che infatti le Olimpiadi del 2012 non si faranno più a Londra, ma a Pizzighettone. A Londra hanno sbagliato a fare la parabolica del velodromo e il governo inglese non vuole rifarla. Altra notizia di oggi è che hanno allargato il numero dei membri permanenti all’Onu, da cinque sono passati a sei, e c’è l’Italia. Non si può andare là con governi tecnici, con un Mario Monti. E’ come se la Bosch mi mandasse ogni cinque mesi un rappresentante diverso. A quel punto non gli compro niente. Poi bisogna rimettere la leva militare a partire dai nati nel 2002, recuperare tutte le caserme dismesse. Parlando al bar ieri sera dicevamo: "C’è mica tanto da fidarsi anche delle elezioni". Mi ricordo quando ha vinto Prodi, due legislature fa. In Lombardia c’era una lista uguale precisa (come simbolo e colori) alla Lega nord. Invece era uno specchietto per le allodole. Era imparentata con la sinistra. Quella lista prese 40.044 voti. Lo scarto di quella elezione fu di 20.000 a favore di Prodi. Flussi elettorali (dal 2002 a oggi): ben otto milioni sono passati dal votare Pds alla Lega. Invece chi ha fatto il contrario siamo in due. Io e mio zio. Che poi adesso stiamo pensando di cambiare ancora. Appendice: Come scegliere il partito a cui dare il voto: - Se il simbolo sulla scheda elettorale è "bello". - Sei rappresentanti di questo partito sono educati, vestono e parlano bene. Anche se sono belli. Il programma elettorale bene o male è uguale. Anche a quello brutto. Noi Cobas latte voteremo chi ci dà un dollaro a litro di latte munto. Anche l’Inter avrebbe bisogno di uno stadietto nuovo da 130.000 posti. Quando lo fate? Fatelo subito o togliamo la fiducia al governo. Firmato Dc ala dura. Camera e Senato riuniti d’urgenza (seduta notturna). Ordine del giorno: "Dare la pensione a Jimmy il fenomeno". Hanno diritto al voto: Camera, 503; Senato, nessuno, Hanno votato sì 504, astenuti 0, contrari 3. La Camera approva. Tutto annullato perché non è arrivato l’ok dall’Inps di Verona, A quel punto è Jimmy il fenomeno che non la vuole più. Ma ormai il sussidio lo deve prendere per forza. 320 curo netti al mese. Manifestazioni di protesta in tutta Italia al coro di: "Cosa dobbiamo dare la pensione a uno che ha fatto il pirla tutta la vita! Piuttosto aprite più campi nomadi". P.s. Grande Jimmy.
Maurizio Milani
Maurizio Milani
Ma quale nuova accozzaglia si prepara a sostituire l’attuale?
Il complesso di Maramaldo è sempre in agguato, poiché è dolce la tentazione di infliggere il coup de poìgnard al tiranno ferito dai mille agguati, dai mille rancori dei delusi, dai mille fallimenti e da qualche odiosa calunnia. Oserei dire che Berlusconi, oggi, mi fa pena, anche se, con tutto il cuore, mi sento più fratello dei precari, dei disoccupati, dei pensionati e degli operai che rischiano molto (ma molto) più di lui, in questo autunno dì crisi. Berlusconi mi fa pena perché potrebbe cadere dall’alto: non da un trono, ma da un letto, sprofondando nelle sabbie mobili del ridicolo, non nella tragica dignità della ghigliottina. Vorrei difenderlo perché mi sembra perseguitato ("povero cocco", direbbero i suoi avversari), però devo constatare che tante ferite se l’è inflitte lui stesso. Questo Grande Comunicatore produce boomerang ogni volta che apre bocca. Insulta i magistrati, offende le donne che non gli sembrano carine (compresa Rosy Bindi, che vale diecimila D’Addario), racconta barzellette anche blasfeme, irrita gli omosessuali con esternazioni stoltamente maschiliste. Perfino (last but not least) usa una macchina straniera, in un paese che produce automobili. Da qualche anno suggerisco, invano, a Gianni Letta di aprirgli un sito web chiamato "staunpozitto.com". Il delirio d’onnipotenza spinge il Capo a ritenere che può dire quello che vuole e fare quello che vuole. Però, che cosa riesce a fare? Poco, pochissimo. Colpa degli alleati, dice Berlusconi. Ma chi se li è scelti, gli alleati? Chi ha deciso dì mettere insieme i localisti della Lega e i nazionalisti di An? Chi ha scelto dì circondarsi di persone ricattabili o (forse) ricattanti? Che bisogno c’era di promettere che l’immondizia napoletana sarebbe stata ripulita in dieci giorni? Si poteva tranquillamente dire: "Faremo presto, se non troveremo rivolte scostumate e se la sindaca Iervolino farà il suo dovere". La Prima Repubblica non si sbriciolò a causa di Tangentopoli, ne perla caduta del famoso Muro, ma perché gli italiani non si sentivano più rappresentati dai linguaggi e dalle culture dei vecchi partiti. Berlusconi approfittò di quella frana per costruire il suo regime personale postmoderno. Chiamatelo come volete: caudillismo, bonapartismo, cesarismo. I regimi personali barcollano quando il leader non mantiene le promesse, Siamo arrivati al 25 luglio? Ma quale accozzaglia si prepara a sostituire l’attuale accozzaglia di governo?
Giuliano Zincone
La risposta e ‘ni’. Anzi, temo sia finita. E il satanismo dilaga
A mio modo di vedere Berlusconi è l’uomo politico che, dall’unità d’Italia in poi, ha goduto di maggiore autonomia. Grazie alla sua straordinarìa potenza economica. Un’autonomia superiore a quella di De Gasperi che ha dovuto accettare la volontà del patron della Commerciale Mattioli (e di chi Mattioli rappresentava): la Dc si sarebbe tenuta lontana dalla cultura, limitandosi a gestire il potere economico e politico. Il che ha significato la fine dell’Italia cattolica. Per poter essere trasformati in colonia, noi italiani, che colonia non eravamo stati mai, avevamo bisogno dell’unificazione anticattolica guidata dai Savoia e dai liberali. Da allora facciamo parte del mondo delle colonie: le colonie obbediscono. Lo ripeto: a mio parere Berlusconi è il leader che ha goduto di maggiore autonomia rispetto ai diktat delle grandi potenze. Questa autonomia l’ha pagata cara: la stampa mondiale gli è stata scatenata contro. E noi italiani, irenici come al solito, ci siamo cascati e accodati. E’ il 25 luglio di Berlusconi? Ni. Spero di no. Temo di si. In un paese in cui i maghi sono più dei preti, in cui il satanismo dilaga e il turismo arriva a visitare i luoghi dei crimini più orrendi, suona davvero curiosa la pretesa condanna morale del presidente del Consiglio. Si continua a invocare un colpo d’ala. Uno di quegli scatti che spiazzano tutti gli avversari di cui Berlusconi è maestro. E se lo scatto di Berlusconi fosse, invece di difendere un comportamento vitalista e pagano, il ritorno alta buona notizia del perdono dei peccati da parte di un Dio che ci ama? E’ un sogno? E possibile che lo sia. Però sarebbe davvero un colpo d’ala. Che ridarebbe fra l’altro un minimo di speranza a quell’ammasso di moralisti senza speranza e senza futuro che siamo diventati.
Angela Pellicciari
Ci vorrebbe Tremonti per liberarci dal 24 luglio permanente
Quando nel 2008 è esplosa la bolla immobiliare americana e l’occidente è precipitato nella grande recessione del 2009, tutti abbiamo detto che nulla sarebbe più stato come prima. L’Unione europea è notoriamente lenta di riflessi, ma dopo la crisi greca ci ha pensato la Germania a suonare l’allarme. I tedeschi per primi e poi tutti gli altri hanno capito che non si può reggere l’Unione monetaria senza politiche economiche e di bilancio condivise. Nel giro di pochi mesi questa consapevolezza ha prodotto una riforma della governance economica europea che non è esagerato definire storica. Una riforma che, in prospettiva, imporrà la riapertura della discussione sull’elezione popolare di qualcosa che assomigli a un presidente degli Stati Uniti d’Europa. Ma che, nell’immediato, sta già determinando uno spostamento di sovranità dai governi statali all’Europa intergovernativa. La quale sta già chiedendo, ad esempio all’Italia, un piano dettagliato di riforme economiche per la produttività e la competitività e misure di bilancio che consentano il dimezzamento dello stock di debito pubblico entro tempi certi e sulla base di definiti obiettivi annuali. Porre all’Italia vincoli stringenti come questi, equivale a porle il vincolo di dotarsi di un nuovo sistema politico, capace di abbinare la competizione bipolare per il governo con la convergenza non occasionale attorno alle grandi riforme di interesse nazionale. La nascita del Pd e poi del Pdl aveva fatto sperare che questo potesse accadere nell’interesse di entrambi i partiti. Nel recente dibattito sulla fiducia, Berlusconi ha ricordato il suo precedente discorso alla Camera, quello col quale si apri la legislatura, in dialogo con Veltroni. Ma quell’occasione è andata perduta. Noi diciamo per responsabilità del populismo dei Cavaliere, "unfit" al governo, figurarsi al dialogo con l’opposizione. Lui dice per colpa della nostra subalternità a Di Pietro e alle procure che lo perseguitano. Resta il fatto che oggi il bipolarismo italiano non divide il campo tra destra liberale e sinistra riformista, ma tra populismo berlusconiano e populismo antiberlusconiano. E Berlusconi è nei fatti il principale ostacolo all’evoluzione fisiologica del bipolarismo italiano. Concludendo, vedo davanti a noi tre scenari possibili: quello più costoso per il paese, ma ancora oggi il più probabile, è lo scenario 24 luglio, il prolungamento indefinita dell’attuale situazione, con un governo politico in crisi, ridotto all’impotenza e uno strano governo tecnico di fatto che con Tremonti prende decisioni sotto dettatura europea o meglio tedesca. Quello migliore sarebbe un governo Tremonti politico, sostenuto dalla stessa maggioranza che ha vinto le elezioni, ma capace di creare un clima nuovo nel paese e di avviare la stagione del bipolarismo post-berlusconiano. Il terzo scenario possibile è il governo di transizione: non un ribaltone, che ridurrebbe Finì a cavallo dì Troia della sinistra. ma un governo tecnico per composizione e sostenuto da un’ampia base parlamentare. Il Pd osteggerà duramente il primo e ha dichiarato la sua disponibilità al terzo. Il secondo dipende per intero dalla maggioranza. Ma per il 25 luglio serve un ordine del giorno Grandi. E ancora non si vede chi sia disposto a presentarlo.
Giorgio Tonini
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