
25/10/10
Il Giornale
Scrivo questo articolo prima ancora di aver visto Report, il programma televisivo (Raitre) della domenica sera, condotto da Milena Gabanelli, dedicato ieri al ministro Giulio Tremonti. Lo scrivo proprio perché la trasmissione ha già suscitato polemiche basate su niente. Ormai siamo alla «guerra preventiva» anche in tivù come a Bagdad, forse perché la Rai somiglia all'Iraq dove il terrorismo comanda più del governo.
Questa puntata di Report tra l'altro cade a una settimana dal putiferio provocato dalla Gabanelli sul caso della villa caraibica di Silvio Berlusconi; un immobile acquistato in tutta regolarità - dice il premier, che ha querelato la conduttrice - ma sul quale è stato montato uno scandalo quasi nascondesse chissà quali illeciti. Vabbè, transeat. Veniamo al motivo per cui il responsabile del dicastero economico è ora oggetto del programma della terza rete. Tutti sanno che Tremonti è un fiscalista di alto livello e che il suo studio era considerato tra i più importanti d'Italia. Dico «era», perché oggi il ministro non ne è più il titolare avendo dovuto scegliere: o la politica o la professione.
Sia come sia, il rinomato studio si occupò nel 2005 degli affari del finanziere bresciano Chicco Gnutti, ex grande azionista della Bell e di Hopa, società che avevano rilevato (e poi ceduto a Marco Tronchetti Provera) quote miliardarie di Telecom. Gnutti, dopo aver messo a segno operazioni brillantissime, finì sotto tiro del fisco e, quindi, della magistratura: in Italia chi sale troppo in alto è destinato a precipitare con molto fragore. E Chicco, nonostante la sua abilità, non è sfuggito alla regola. Tant'è che per evitare ulteriori «persecuzioni» si defilò dal mondo della finanza. Nel 2005 era già fuori sia dalla Bell sia da Hopa, e sorvoliamo sulla montagna di quattrini che egli ci rimise (ingiustamente, suppongo). Che c'entra tutto questo con Tremonti e la Gabanelli?
Udite. Secondo qualcuno, lo studio (non più) del ministro avrebbe emesso, nell'anno in cui Gnutti aveva abbandonato le attività citate, parcelle per 20 o addirittura 25 milioni di euro a carico di Bell e Hopa. La cifra pazzesca si spiegherebbe col fatto che, grazie alle prestazioni professionali dei fiscalisti, le societàin questione avrebbero pagato all'Agenzia delle entrate molto meno del previsto: «soltanto» 250 milioni di euro (in realtà 300) al posto di non saprei quanto, comunque più di un miliardo. Ciò basterebbe (forse) a gettare una luce sinistra sul comportamento diTremonti? Non mi pare.
Intanto perché il ministro all'epoca non era da un pezzo titolare dello studio. E, quand'anche lo fosse stato ancora, occorrerebbe precisare che gli avvocati di grido, se si occupano ai cause a nove zeri, si fanno pagare in proporzione. Un esempio. Lo studio Rimini riscosse 5 milioni di euro per aver custodito su ordine del tribunale un pacco di azioni di Gnutti, e fu il giudice a stabilire la somma. Inoltre, il finanziere bresciano non può aver sborsato quei 20 o 25 milioni perché, ripeto, nel 2005 era sganciato dalle proprie creature e non aveva neppure trattato il compenso da versare ai fiscalisti. Ignoro se la vicenda rievocata dalla Gabanelli avrà un seguito. Se anche l'avesse, finirebbe in nulla per le ragioni esposte.
Invece non finisce di stupire Report con le sue scorribande giornalistiche. Tutte orientate, guarda un po' la combinazione, a colpire da una parte sola. E la Rai non dice una parola, se non per annunciare l'aumento del canone: una parcella che devono saldare tutti gli italiani, compresi quelli stanchi di sopportare l'egemonia mediatica della sinistra, ai quali non resta che Augusto Minzolini. Dio ce lo conservi.
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