
19/10/10
Il Giornale
Il tritacarne è grande e ci sta anche Panorama. Detto fatto. Il settimanale si trova a dover affrontare una grana. Un suo giornalista infatti è indagato per violazione di sistemi informatici. Cosa ha combinato? Lo scorso anno attraverso una fonte personale, un appuntato della Guardia di finanza, ha ottenuto e pubblicato dati cosiddetti sensibili. Risultato. Il redattore, Giacomo Amadori, è sotto inchiesta; e il suo informatore è stato arrestato. Da notare che il reato relativo a fuga di notizie è tra i più diffusi; nonostante ciò, raramente, per non dire mai, viene perseguito. Forse è considerato una sciocchezza, tranne in alcuni casi.
Quali? Sintetizzo. Se a utilizzare materiale riservato è un giornale genericamente di sinistra (in una parola antiberlusconiano) non succede niente. Non ricordo che il cronista o il direttore di un giornalone sia finito nei guai per aver divulgato, chessò, verbali coperti da segreto istruttorio o, peggio, intercettazioni di telefonate imbarazzanti. Mentre se la stessa violazione viene commessa da un collega che lavora in una testata giudicata berlusconiana, allora è da punire.
Due pesi e due misure in voga da quindici anni, almeno. Il primo episodio fu clamoroso. Il Corriere della Sera pubblicò in esclusiva l'avviso di garanzia a Silvio Berlusconi quando questi presiedeva a Napoli un convegno internazionale. Nessuno ne sapeva niente, nemmeno l'interessato, che apprese di essere coinvolto in un procedimento giudiziario scorrendo il quotidiano di via Solferino, all'epoca diretto da Paolo Mieli.
Chi spifferò l'indiscrezione (e il documento che la confermava) ai signori corrieristi? Non si è mai saputo, forse perché non si è molto indagato. Da quel dì, non c'è atto processuale scottante che rimanga nei cassetti degli inquirenti. C'è sempre qualcuno che lo prende e lo gira a redazioni amiche. Si potrebbero fare molti esempi, dalle carte relative alle escort a quelle di Vallettopoli. Ma temo di tediare il lettore e mi limito al presunto dossieraggio contro Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Pensate. Il nostro vicedirettore Nicola Porro, subito dopo essere stato perquisito perché sospettato di aver minacciato la gentile signora, ha avuto una brutta sorpresa: i suoi colloqui telefonici con Rinaldo Arpisella (portavoce, ora dimissionario, della prima donna italiana a capo degli industriali) sono stati audiotrasmessi sul sito internet del Fatto Quotidiano.
Chi li ha regalati sottobanco al giornale di Antonio Padellaro e Marco Travaglio? Mistero. È stata aperta un'indagine? Zero. C'è di più. La scorsa settimana, Mauro Crippa (testimone nell'inchiesta in corso su di noi) dieci minuti dopo essere stato interrogato dai pm della Procura di Napoli, ha avuto l'onore di leggere la propria deposizione, riportata tra virgolette, dappertutto. Anche in questa circostanza, non c'è stato un cane che abbia avviato investigazioni onde scoprire i responsabili della fuga di notizie.
Però, guarda che combinazione: il cronista di Panorama, in coincidenza con l'uscita del news magazine che aveva in copertina il servizio sulle pressioni esercitate su di lui da Arpisella al fine di bloccare articoli critici sulla Marcegaglia, ha ricevuto un avviso di garanzia per essersi impossessato di notizie telematiche grazie a un appuntato finanziere, ora agli arresti domiciliari.
Senza voler pensare male a ogni costo, ci sembra tutto strano. Non stupisce che solo il graduato e il redattore di Panorama siano nei pasticci per un reato che ad altri viene sistematicamente perdonato? Siamo basiti. Ci piacerebbe che i magistrati italiani si comportassero tutti come quelli impegnati a risolvere il giallo di Sara Scazzi, i quali lavorando in silenzio e mai cercando la luce dei riflettori, sono riusciti con grande abilità a fare in pieno il loro dovere. Il che dimostra che la Giustizia non è da buttare in toto. Si tratta soltanto di separare il grano dal loglio.
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