
Il primo e significativo test sui primi quattro mesi di governo, Mario Monti lo avvia oggi, primo giorno della sua missione in Oriente. Sette giorni per effettuare una sorta di «carotaggio» sui sentimenti che le diplomazie e i governi di paesi con il pil a due cifre, hanno ora dell'Italia. Da Seoul a Pechino, passando per Tokyo e il Kazakistan, per il primo road show dell'Italia-rinsavita e responsabile che dovrebbe aver archiviato anni di «consociativismo» irresponsabile nel quale «si è mantenuta una parvenza di pace sociale devastando però il Paese». Ora che l'attuale governo mette sempre più frequentemente «l'interesse nazionale» sopra l'esigenza della coesione sociale, l'Italia ha, secondo Monti, l'occasione di rimettersi in riga proprio perché nessuno dei ministri attuali va a caccia di consenso.
Non allo stesso modo la pensano però i partiti che sostengono la maggioranza e che, tra qualche settimana, devono vedersela nelle urne con i propri elettori in tantissimi comuni. L'esito delle elezioni amministrative di maggio rischia quindi di avere un peso non da poco anche sulla riforma del mercato del lavoro che è destinata ad intrecciarsi, non solo nelle aule parlamentari, anche con il pacchetto di riforme istituzionali ed elettorali.
Se il Terzo Polo resta fedele alla linea del governo, al punto da proporre Monti a palazzo Chigi anche nella prossima legislatura, in fibrillazione sono il Pdl e il Pd. I due partiti, già in campagna elettorale, serrano i ranghi in attesa di leggere il testo di una riforma che ancora non è stata messa nero su bianco. Il Pd oggi riunirà la direzione che, probabilmente, si concluderà con un mandato forte a trattare che verrà dato a Pier Luigi Bersani. Nel Pd anche l'ala cattolica e la componente veltroniana si sono ritrovate sul «no» alle proposte di modifica dell'articolo 18 avanzate dal governo. La solidarietà alla linea della segreteria potrebbe però fermarsi qui, in attesa che decolli il dibattito sulle modifiche che rischia di riproporre le divisioni di sempre in un gruppo parlamentare che deve fare i conti non solo con l'ala liberale Radicale di Pannella e Bonino, ma soprattutto con la componente veltroniana, che di recente ha ricostruito un significativo collegamento con la pattuglia di ex Dc del calibro di Enrico Letta e Dario France s chini.
Una fortissima tensione si avverte però anche nel Pdl che, in difesa della riforma del mercato del lavoro proposta dal governo, ha schierato gli esponenti che più hanno avversato la nascita dell'esecutivo Monti. Non è un caso se ieri, dopo giorni passati ad invocare lo strumento del decreto, ha provveduto Daniela Santanché a tirare le fila delle difficoltà del governo tornando a sollecitare «le elezioni anticipate». Per gli irriducibili del Pdl, il rischio paventato da Casini «che il governo entri in crisi sul serio», è un' opportunità non da poco per tentare di archiviare l'esperienza dei tecnici e portare il Paese al voto con il Porcellum e l'attuale organigramma che governa la Rai.
La linea della sconfitta data quasi per scontata, ma che permetterebbe all'attuale gruppo dirigente del Pdl di autoconservarsi, non è però quella di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere si prepara a tirare le somme dell'esperienza del Pdl. L'appuntamento è per il 21 maggio, dopo i ballottaggi. Berlusconi non ha nessuna intenzione di mettere la sua firma sotto una sconfitta più meno annunciata qualora il centrodestra si presentasse alle prossime elezioni politiche con il tradizionale assetto (Pdl+Lega). «Non intendo ricandidarmi e sono pronto a fare il padre nobile del centrodestra, ma se qualcuno pensa di cancellarmi, si sbaglia», ripete da settimane il Cavaliere.
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