
Se qualcuno glielo chiederà, perché ha passato quindici mesi di carcere, Massimo Papini potrà spiegare che hanno processato i suoi sentimenti. E che li hanno assolti. Non perché i sentimenti fossero innocenti, semplicemente perché non si possono processare. Amava Diana Blefari Melazzi, la presunta brigatista intestataria del covo in via Montecuccoli. La sua storia l'hanno raccontata ieri gli amici, in una conferenza stampa a Montecitorio, insieme ai suoi avvocati, Francesco Romeo e Caterina Calia e alla parlamentare radicale Rita Bernardini. Papini faceva altro, nella vita, oltre ad amare quella donna. Era uno scenografo di successo: quando lo fermarono stava girando Benvenuti al Sud e prima era nel cast di fiction di successo. Però era rimasto accanto a Diana, anche quando l'avevano arrestata. E per la procura di Roma tanto bastò per incrociargli i polsi dentro un paio di manette e spedirlo in isolamento per quindici mesi. Fino all'altro giorno, quando Anna Argento, presidente del tribunale, ha ascoltato i pm Amelio e Tescaroli che chiedevano una condanna a sei anni e poi ha sentenziato: «Assolto per non aver commesso il fatto».
Ieri sono venuti fuori i dettagli sulla sua innocenza. Uno su tutti: quando lo fermarono, la Digos di Bologna sapeva che Papini andava a trovare la Blefari in carcere perché lei voleva uccidersi. Risulta dalle intercettazioni del febbraio 2009. Lui lo presero a ottobre, trenta giorni dopo lei si impiccò. Eppure Papini è rimasto in carcere altri quattordici mesi.
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