
Domenica scorsa a Orvieto, in apertura della seconda giornata dell'assemblea di Libertàeguale, si sono succeduti Giuliano Amato e Walter Veltroni. Subito mi è balzata in testa un'immagine: l'ex sindaco di Roma invoca da sempre, con tenacia, per il Pd, la vocazione maggioritaria, intesa come la capacità di interpretare i problemi e le istanze del Paese e di trovare le risposte. L'ex premier, lo scrivo senza voler fare vana dietrologia, avrebbe potuto incarnarla, quella vocazione. E le occasioni mancate sono state diverse: dalla possibilità che il dottor sottile assumesse il ruolo di presidente dei Ds alla ipotesi della sua candidatura a Palazzo Chigi nel 2001.
Amato, in particolare, ha rievocato con passione il suo impegno all'Ires-Cgil, sottolineando l'importanza delle elaborazioni di allora. La concertazione, ad ascoltare quelle parole, non rappresenta una zavorra o un intralcio sulla strada delle riforme, e neppure solo un metodo volto a ottenere consenso. No: corrisponde piuttosto a un principio di corresponsabilità, come mostra la vicenda travagliata di Bruno Trentin. Lo spirito liberal, tale da coniugare equità e rigore, è forte in Amato. Ed è grande anche l'abilità a comunicarlo, quello spirito. Senza condivisione non vi saranno crescita, risanamento, innovazioni. Ecco la vocazione maggioritaria; ecco, anche, ciò che manca nell'attuale assetto politico. Deficit alla base di tanti problemi e di una sensazione soggettiva e diffusa di vuoto.
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