
Potenza del govemo tecnico che sconvolge le gerarchie, declassa la vecchia nomenclatura, scongela il centrosinistra che finalmente si gode un po' di ribalta. Da Veltroni a Casini, la "nuova" fotografia del potere alla Tiburtina.
Erano anni che non si vedeva un parterre così, difficilmente sarebbero accorsi se al posto dello svettante Passera, neoministro di Sviluppo e Infrastrutture, accanto a Napolitano ci fossero stati il berluscone Romani o l' ex missino Matteoli. E invece eccoli lì, felici e festanti, chi accalcato nell'atrio dell'avveniristica stazione, chi intruppato dentro al piccolo corteo che segue il Capo dello Stato. Tutti venuti a celebrare l'hub dell'alta velocità, metafora dell'era politica che si apre, seppellendo la precedente. Slittata alle seconde e terze file, ma ancora avvinta ai riflettori. Ha lo sguardo pietrificato Gianni Letta, che dietro la stazza del rutelliano Lusetti quasi scompare. Laterale l'ex ministra Meloni. Trascurato Bonaiuti. Mentre un inspiegabilmente allegro Guarguaglini assapora gli ultimi giorni di gloria: «Nonostante tutto il casino, vengo a salutarvi perché siete persone serie» scherza coi cronisti. Ad avvicinarsi, per un fugace saluto, solo Abete, Regina, il prefetto Pecoraro e l'ad di Acea Staderini.
Raggiante la Bonino, gli ex assessori del "modello Roma" si godono lo spettacolo, mentre quelli in carica si aggirano spaesati. Ecco Morassut, D'Ubaldo, Cosentino, capitanati da un Veltroni sorridente come non mai. Un motivo c'è. Lo rivendica per tutti Zingaretti: «La nuova Stazione Tiburtina è anche il segno della forza di ciò che è stato il riformismo romano, che ha prodotto risultati straordinari in termini di modernizzazione e attenzione ai cittadini».
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