
Senza Zingaretti, che ha messo la freccia per la Pisana, il Pd ingrana la marcia per la reconquista del Campidoglio. E il primo a muoversi è David Sassoli.
Ieri sera Sassoli ha annunciato che correrà alle primarie già fissate a Roma per il 20 gennaio. Da quei gazebo uscirà con ogni probabilità il nome del prossimo sindaco di Roma. E non è ottimismo di facciata.
Perché la destra di Alemanno è davvero in caduta libera: l’ultimo sondaggio dà il Pdl romano al 13 per cento. Non va preso per oro colato ma la tendenza è quella. Alemanno lo sa. E cerca una via d’uscita. Tutto fa brodo: anche, per fare un esempio, l’argomento che potrebbe essere tentato di usare, che non essendoci più in campo Zingaretti per la destra può farsi avanti un esponente nuovo, giovane, meglio se una donna (la Meloni?).
Dice Sassoli che «la destra vorrebbe scappare da Roma ma gli sarà difficile»: nel senso che il Pd, il centrosinistra intende inchiodare Alemanno e il suo malgoverno di fronte ai fatti. «Bisogna uscire dalle sabbie mobili di una città depressa, serve che scocchi una scintilla di luce», dice a Europa il capogruppo dei progressisti italiani a Strasburgo, ex volto noto del Tg1, esponente del Pd facente parte della componente di AreaDem (vicino a Dario Franceschini).
Le primarie innanzi tutto, dunque: «Per me si potrebbero persino accorpare alle primarie nazionali ma in ogni caso sono indispensabili ». Sarà, quello di Sassoli, il nome in grado di unire un Pd come quello di Roma spesso e volentieri litigioso? È da vedere.
«Di certo, la mia candidatura vuole unire, la mia storia ha questo filo conduttore, l’unità del partito», ci dice. Ma dopo il tramonto dell’ipotesi-Riccardi a Roma tutti sanno che girano anche altri nomi, Gasbarra, Gentiloni, Silvia Costa, Tocci, quelli dei ministri Barca, Cancellieri, Severino, esponenti di Sel, e altri probabilmente gireranno.
Il punto che forse unifica lo spettro di ipotesi è l’idea che nella Capitale ci sia bisogno di un’aria diversa, non solo rispetto alla fallimentare esperienza di Alemanno, ma anche ad una lunga pratica politica imperniata su partiti “vecchi dentro”, anchilosati nella gestione del potere.
L’unica strada allora è puntare ad un modo diverso e nuovo di concepire l’azione dei partiti e soprattutto la relazione con i cittadini romani. Qualcosa di simile all’onda milanese dell’anno scorso, quando un homo novus ma esperto come Giuliano Pisapia seppe costruire un inedito rapporto con la società milanese. Una “Roma arancione”, una città aperta meno impicciata con soldi e sottopotere. Senza più una destra a brandelli non dovrebbe essere impossibile.
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