
E' finita male, con un colloquio gelido a Montecitorio, l'incontro a sei occhi, Gianfranco Fini, Renata Polverini e Gianni Alemanno, prima di andare a Palazzo Chigi a chiedere, cappello in mano, una soluzione per il pasticciaccio brutto delle liste di Roma. Sondaggi in picchiata per il centrodestra a Roma. E non da quest'ultima catastrofica settimana. Non brilla più la stella del primo sindaco nero della Capitale, l'uomo con la celtica al collo accolto con i saluti romani al momento della sua proclamazione. Che, pensando a Rutelli e Veltroni, dal Campidoglio preparava il gran salto verso i vertici Pdl, scavalcando le ambizioni di Fini grazie alla benevolenza del cavaliere. Gli uomini vicini al presidente della camera non fanno sconti all'ex camerata, «chi è causa del suo mal pianga se stesso». Sulle colonne dei Corriere della Sera ieri il sindaco smentiva sdegnato l'indiscrezione che alla base dell'incidente che ha provocato l'esclusione della lista Pdl dalla corsa nel Lazio ci sia una pressione per sostituire all'ultimo momento il capolista con il suo ascaro Pietro Di Paolo. In realtà circola un'altra versione, l'ha scritta Tommaso Labate sul Riformista sabato scorso a Piazzale Clodio sarebbero arrivate due liste: una «con il 'visto si stampi'» di Polverini, l'altra, quella con Di Paolo capolista, «gradita ad Alemanno e benedetta via telefono da Berlusconi». Ora gli uomini di Fini dicono che è il momento di «serrare i ranghi», non di fare processi. Ma quel momento è vicinissimo.
«Vedremo a tempo debito», dice Alemanno a proposito di eventuali terremoti Pdl. Fatto sta che lui ha subito nel Lazio la candidatura di Renata Polverini, fortissimamente voluta da Fini controBerlusconi. E oggi Polverini è impallinata dal fuoco amico. Un fallimento inaspettato, che fa imbufalire Fini e lascia trasecolato Berlusconi. Un fallimento clamoroso per il Pdl, che con l'Udc dalla propria parte e la radicale Emma Bonino dall'altra aveva la vittoria in tasca. E infine un fallimento disastroso per le ambizioni personali del sindaco. Che infatti in questi giorni ha perso la testa: ha chiamato in causa Napolitano, si è precipitato in piazza come un comiziante furioso e non il primo cittadino di Caput Mundi, rimbalzando alla fine sul palco di una piazza
da lui stesso vietata ai comizi.
Un flop che arriva dopo una fila di flop. L'ultimo in ordine di tempo, le dimissioni di Stefano Andrini, lo sprangatore di destra (giugno '89, condanna a 5 anni, due condonati) che Alemanno aveva voluto al vertice dell'Ama, l'azienda della nettezza urbana. Andrini se n'è dovuto andare perché il suo nome è saltato fuori nell'inchiesta sul riciclaggio che ha portato ieri in carcere l'ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo.
Ma è "il metodo Alemanno" che non ha funzionato. Aveva provato a imitare il "modello Roma" allargare i confini del centrodestra, offrendo la presidenza di una sorta di commissione Attali a Giuliano Amato. Che declinò. Altri tentativi di apertura, e poi il ripiegamento: le nomine del giro di ex estremisti o fedelissimi (Antonio Lucarelli, ex leader di Forza nuova, capo della segreteria; Franco Panzironi all'Ama). La pioggia di deleghe come gratifiche in consiglio, che rendono ciascun consigliere una specie di mini-assessore (ce n'è anche una per i cittadini della Calabria). La città mal amministrata, sporca e piena di buche. Anche non amministrata. Perché lui, il sindaco, ha la testa altrove. Almeno fino a ieri, quando a Montecitorio ha preso atto del tramonto della sua buona stella. L'opposizione democratica in Campidoglio, fin qui non proprio brillantissima, attacca a testa bassa: «Sembra un capopopolo, si ricordi che è il sindaco di tutti i romani», attacca Massimiliano Valeria«. Lunedì scorso, il giorno in cui in consiglio era fissata la discussione sul piano casa (con tanto di sgombero dei manifestanti da sotto il Campidoglio), il sindaco era alla maratona oratoria urlando agli astanti di «far sentire la rabbia». Il giorno dopo, dice Mario Mei, salta fuori «la sua proposta di exit strategy dal pasticcio della lista Pdl: la promessa ai candidati esclusi della carica di assessori. Ora dovranno inventarsi nuovi incarichi da distribuire». Perché Alemanno si sente responsabile del pasticcio: da un mese il Campidoglio è stato trasformato «in una succursale del comitato Polverini, spiega Enzo Foschi. Fino alla stampa di un "libro bianco" sulle performance dei primi due anni da sindaco, «uno spot per Polverini a spese dei romani». I quali nel frattempo però sono rimasti scettici. Nella città Bonino sta solidamente sopra Polverini. E da ben prima del deragliamento delle liste Pdl.
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