
Chi sia veramente Rocco Carlomagno non lo abbiamo mai capito bene neanche noi del manifesto che per anni ce lo siamo ritrovati nelle stanze di via Tomacelli: un posto dove le porte erano proverbialmente aperte a tutti. Carlomagno si presentava al giornale verso le 7 di sera, l'ora giusta per fare incetta dei giornali avanzati dalle mazzette sui tavoli. Tra parentesi, si era scatenata una piccola guerra con un altro personaggio che tutte le sere compariva al giornale per fare il pieno di giornali, ma questa è un'altra storia.
Si intrufolava furtivamente col suo sigaro puzzolente e certi cappottoni grigi sfuggendo come Diabolik al severo controllo delle ragazze della segreteria. La sua stanza preferita era quella in fondo al corridoio, davanti alla macchinetta del caffè, forse perché lì tra appassionati di musica, cinema e sport aveva scoperto una tolleranza al limite dell'autolesionismo. Lo si lasciava parlare, anche straparlare, dandogli un po' di spago. Gli si concedeva di telefonare alla fidanzata, o alla mamma - quando lo chiedeva.
In genere lui trasformava quella chiamata d'urgenza in 4-5 chiamate «di lavoro». Giornalista? Free-lance? Militante tosto? Disturbatore professionista? La prima volta che bussò al manifesto sosteneva di avere per le mani uno scoop mondiale sulla sua terra d'origine, la Basilicata. Da appartenente al comitato contro l'installazione del sito di stoccaggio della scorie nucleari a Scanzano Jonico aveva tenuto una conferenza stampa col verde Paolo Cento, proprio il giorno che la protesta si era spostata a Roma, sotto il Parlamento. Era il 2003.
Era convinto che quel sito catalizzasse gli interessi della 'ndrangheta e della mafia russa, con la protezione dei servizi segreti italiani. Più o meno.
Delle sue scoperte aveva parlato con Valentino Parlato e questo gli dava il diritto di informare del caso ogni singolo redattore del manifesto, aggiungendo problemi personali (la fidanzata, la casa, i soldi), teorie di complotti, politica e fantapolitica. Ma qui i ricordi vacillano. Qualcuno sostiene che il suo «biglietto da visita» fosse in realtà una qualifica di assistente parlamentare di un deputato di Torino.
Altri lo videro contestare in diretta televisiva la fiaccola olimpica 2005 - quella sponsorizzata Coca Cola e festeggiata a Roma in Campidoglio. La cosa, pare, gli costò una notte d'ospedale.
Di certo la politica lo attirava parecchio. Un articolo del 2002 di Concita De Gregorio lo scopre al bar degli stati generali dei girotondini: «A Bologna - sostiene - la sinistra ha perso le elezioni perché non hanno candidato me». Più di recente, su un forum dell'Unità con il sindaco di Firenze Matteo Renzi, all'epoca in campagna elettorale, Carlomagno propone un suo impegno diretto lasciando gentilmente tutti i suoi recapiti, e una sua biografia.
Ieri, mentre il video della conferenza stampa di Berlusconi intasava tutti i siti di informazione - e mentre la Rete si incaricava di renderlo poco meno che un eroe - la stessa Rete ci restituiva un pezzo di Carlomagno pubblicato dal sito di Aprileonline.
E' un`'ntervista a Alessandro Curzi. Domanda: «Vuoi dire che la funzione di deterrente e argine che la stampa dovrebbe assumere nei confronti della democrazia e dei principi costituzionali è saltata?» «Penso proprio di sì», annuisce Curzi. .
Di recente Carlomagno è stato promotore di un gruppo di cittadini della Basilicata «per l'Abruzzo». C`è una sua lettera pubblica a Napolitano, in Rete, che chiede di vigilare sulla ricostruzione.
In molti ricordano una domanda chilometrica durante una conferenza stampa di Pannella, interrotta da un perentorio «ohh Hai finito?». E un analogo domandone a Veltroni.durante la conferenza di presentazione del Pd, al cosiddetto Loft. Quest'ultima performance ebbe due effetti collaterali: una risposta serissima da parte di Veltroni sui destini della politica, che diventò la notizia politica della giornata. E una fiera autoqualifica di Carlomagno come «giornalista del manifesto».
A via Tomacelli, in realtà, le cose erano cambiate il giorno che venne scoperto chiamare non si sa bene chi, i deputati che sosteneva di conoscere personalmente, i magistrati, i giornalisti, spacciandosi appunto per un giornalista del manifesto. Si era difeso giurando che Valentino gli aveva garantito che c'era pronto un contratto di assunzione per lui. Il giorno che intervenne in
una conferenza stampa di Prodi, sempre a nome del manifesto, dopo un fax di scuse le ragazze della segreteria presero a marcarlo stretto. Eppure lui riusciva a sgattaiolare dentro comunque. Quando lo pizzicavano carico di giornali, sosteneva di avere il permesso e l'invito di «quelli degli spettacoli» (oltreché del solito Valentino, all`oscuro di tutto).
Arrivammo a pensare che non ce se saremmo mai liberati quando riuscì a entrare anche nella nuova sede di via Bargoni, che al contrario della vecchia ha le porte d'ingresso sempre chiuse. Arrivò anche lì, nel febbraio 2008. Scomparve. Nessuno lo aveva visto più fino alla straordinaria performance di ieri. Alle 19.20 è entrato dalla porta a vetri di via Bargoni. Nessuno lo ha fermato. Ha detto: «E mo' me lo dovete fa' un contratto!»
© 2010 Il Manifesto. Tutti i diritti riservati