
«L’amalgama non è riuscito quindi è meglio rinunziare a farlo». Questa in sintesi la proposta di Bersani che ha vinto nelle primarie. Meglio rimettere il trattino del centrosinistra. Meglio tornare alla politica delle alleanze ampie da Sinistra e libertà all’Udc.
Il resto consegue da ciò. E il resto è: 1. Le primarie sono state senz’altro un momento di grande partecipazione, ma i dati ci dicono che il calo di affluenza rispetto a quelle per Veltroni (da 3.550.000 a 2800000 corrisponde al calo di consensi elettorali del Pd tra il 2006 e il 2008).
2. Lo schema di alleanze largo, anzi larghissimo (oltre l’Ulivo, perché nell’Ulivo non c’era l’Udc), implica un rilancio delle identità parziali. Ogni alleato è chiamato a qualificare la propria quotazione nell’alleanza sulla base della sua capacità di rafforzare la propria identità e differenziarla dagli altri.
Classico schema proporzionalista.
4. Ciò semplifica anche la vita nei partiti e nel Pd. Perché affaticarsi a fare un partito grande, che tenga insieme magari anche i Pannella, o i Pasquino a cui è stato negato di votare per le primarie? È una schema perfettamente coerente con la legge elettorale attuale che esalta il governo di coalizione.
Ognuno porta un pezzetto (anche dell’1 virgola) e tutti ricattano tutti col potere della crisi.
Non c’è bisogno di nessun amalgama. L’amalgama se c’è si fa con il patto di governo (sic). E sappiamo quale “lunga vita” ha assicurato finora. Almeno ai governi di centrosinistra.
5. In questo schema – bisogna dar atto a Rutelli – l’annunziata diaspora è perfettamente coerente con la strategia di Bersani. E Bersani lo sa. E in fondo gli fa gioco.
Se bisogna rafforzare le identità è meglio evitare confusioni. Ognuno vada per la sua strada.
6. Nel Pd può rimanere qualche indipendente di sinistra o qualche componente capace organizzativamente di stringere un patto di sindacato con il segretario (ad esempio Marini). Può, ma non deve. Dipende dalle convenienze.
7. A questo punto coerentemente Bersani proporrà il ritorno al proporzionale alla tedesca. Per liberare ed esaltare il gioco delle alleanze oltre i confini stretti degli schieramenti. Sarebbe perfettamente coerente con lo schema neo-identitario e con le vecchie abitudini consociative della prima repubblica.
L’alternativa era un’evoluzione del bipolarismo verso il bipartitismo (due grandi partiti e rappresentanza delle minoranze non più decisive per la sopravvivenza del governo). Questa alternativa al momento è sconfitta. E aspettiamo di vedere gli effetti nel centrodestra.
È sconfitta sul piano del sistema politico perché il movimento referendario non è riuscito a conseguire il risultato di far saltare il Porcellum, complice l’illusione che la semplificazione fosse acquisita con le politiche del 2008. Complice il conseguente disimpegno pressoché totale dei partiti, anche quelli interessati a conseguire quel risultato. Complice un’informazione bulgara che ha fatto sì che nei 20 giorni di campagna referendaria i principali telegiornali delle tre reti pubbliche dedicassero al tema 9 minuti in tutto (ripeto 9 minuti: dati Agcom) alla campagna referendaria.
Ma la sconfitta della prospettiva bipartitica è stata anche politica. La strategia di Veltroni è stata troppo incoerente per avere successo. E soprattutto è stata segnata dall’illusione di poter fare a meno della leva istituzionale offerta dal referendum.
Il leader del partito a vocazione maggioritaria non si è mai concretamente impegnato in favore della consultazione. Sulla sua scia Franceschini ha schierato il partito “ma anche” non l’ha schierato, impedendo un confronto che stanasse i conservatori. Veltroni si è illuso che bastasse “la politica” (antico mito comunista). E la politica se lo è mangiato.
Il disimpegno del centrodestra è stato ancora più evidente sotto il ricatto della Lega. Che ovviamente non cessa di battere cassa nel governo.
Questa è la situazione.
Bisogna prenderne atto.
Al momento la prospettiva del bipartitismo è stata sconfitta, mettendo a rischio anche il bipolarismo. Al momento. Ma forse coloro che non si rassegnano all’eterno ritorno dell’eguale, un giorno o l’altro dovranno ripartire da lì. Questa volta a mani nude, però.
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