
Il rapporto Onu sul massacro di Tremseh innesca un nuovo braccio di ferro fra Damasco e la comunità internazionale, anche se questa volta il regime di Assad è in un posizione meno scomoda, in quanto nel villaggio della provincia di Hama l’esercito regolare ha sì violato il piano di pace Annan, usando armi pesanti, ma nell’ambito di quello che anche ai caschi blu appare un raid, «un’operazione mirata», per schiacciare un nucleo di insorti. Il ministero degli Esteri siriano ha negato l’uso di artiglieria ed elicotteri, ma alcune testimonianze raccontano di una battaglia durissima, e di uomini uccisi a freddo da miliziani alawiti.
I racconti dei superstiti
Particolarmente crudo è il racconto di un abitante di Tremseh raggiunto a casa sua da un giornalista della France Presse al seguito dei caschi blu. Un orrore, «con la gente che veniva sgozzata» dagli shabiha, i miliziani pro-regime. Una persona, racconta, «si è nascosta, rannicchiata in un armadio, ma i soldati l’hanno scoperta e uccisa». Nel retro dell’abitazione ci sono i resti di altre vittime, polverizzate da una granata esplosa nel giardino. Tracce di sangue ovunque sui muri. «Gli autori del massacro - precisano altri abitanti - sono stati gli shabiha, che hanno ucciso con armi bianche e arrestato molti giovani». Il Consiglio Nazionale Siriano, principale forza di opposizione ha subito reagito, invitando gli Stati Uniti a intervenire. «Barack Obama, non può attendere fino alla sua eventuale rielezione per fermare il massacro di civili in Siria», ha commentato il presidente del Cns Abdel Basset Sayda.
La smentita di Damasco
La battaglia si è svolta fra giovedì e venerdì mattina. Il numero delle vittime è stimato fra 70 e 200, ma i conteggio è reso difficile dal ritardo con cui sono arrivati gli osservatori dell’Onu sul posto, sabato pomeriggio. Gli attivisti dell’opposizioni sostengono che molti corpi sono stati sepolti in fosse comuni o giacciono ancora sotto i detriti. Ma il governo siriano smentisce sia la strage di civili («solo due vittime») che l’uso di armi pesanti. «L’esercito non ha usato tank, aerei, elicotteri o artiglieria - ha riferito il portavoce del ministero degli Esteri, Jihad Makdisi -; le forze di sicurezza hanno usato solo armi leggere e lancia-granate a spalla». Anche gli osservatori, ha continuato, «hanno constato danni a cinque edifici, quelli occupati dagli uomini armati». Per Damasco nell’operazione sono stati uccisi 37 militanti.
Altre 46 vittime negli scontri
Dalle versioni contrastanti emerge comunque uno scenario di guerra civile, certificato ieri dalla Croce rossa internazionale: «dai punti caldi di Idleb, Homs e Hama», secondo Ginevra, il conflitto «si è ormai esteso a tutto il Paese». Legalmente ciò significa che i soldati coinvolti non sono più coperti dalla convenzione di Ginevra e quindi più facilmente imputabili di crimini guerra. Secondo l’Osservatorio siriano per diritti umani ieri ci sono state 46 vittime, 17 a Homs di nuovo bombardata. Scontri fra insorti ed esercito si sono registrati anche ad Aleppo e, con violenza mai vista, nei sobborghi di Damasco, tanto che è stata decisa la chiusura della strada che porta all’aeroporto.
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