di Paolo Macry da “il Corriere del Mezzogiorno”, 17-10-2010
La legalità è tra i problemi più acuti di Napoli e del Sud. La sua cronica debolezza ferisce a morte il mercato, opera prelievi diretti e occulti sulle famiglie, immiserisce la stessa democrazia. Per queste ragioni, suona stonato il coro di quanti sembrano usarla in maniera tattica, facendone uno strumento politico e rendendola un linguaggio fazioso. La classica clava da dare in testa all’avversario.
Giorni fa, la sindaca ha dichiarato che «oggi in Campania la camorra non è vicina al potere: è al potere», sottintendendo che questa è la conseguenza del passaggio degli enti pubblici dalla sinistra alla destra. Parole eccezionalmente gravi, se rispondessero a verità, perché allora magistratura e ministero dell’Interno avrebbero il dovere di intervenire subito e in modo drastico sulle presunte infiltrazioni criminali. Oppure parole eccezionalmente irresponsabili, se con esse la sindaca ha voluto dire che, nei decenni durante i quali la sinistra ha governato la Regione, il malaffare era tenuto lontano dal Palazzo. Il che, notoriamente, non è vero. Basta chiedere ai cittadini di Castellammare o ricordare le molte traversie giudiziarie della stessa giunta Iervolino, culminate, in un caso, con il suicidio di un assessore. Altrettanto singolare è che quella denuncia venga dal capo di un’amministrazione municipale, la cui conclamata latitanza ha finito per lasciare campo libero ad una capillare trasgressione della legge: microcriminalità, abusivismo, vandalismo, degrado ambientale, prevaricazione fisica.
Non meno discutibile è la forte connotazione etica con la quale Fini ha voluto presentare a Napoli, venerdì scorso, il suo partito. «Tanto più in Campania— ha detto nell’occasione Italo Bocchino — è necessario porre il problema della legalità: non ci può essere nessuna zona grigia tra la politica e la criminalità». Parole nette, che potrebbero essere salutate con entusiasmo, se venissero da qualche new entry alla Grillo o da movimenti immacolati come i radicali di Pannella. Ma non è questo il caso dei finiani, i quali da quasi vent’anni sono pienamente partecipi della grande macchina di voti di Silvio Berlusconi e del suo sistema di potere, sicché appare piuttosto incongruo che i medesimi leader e peones usino oggi il passepartout della questione morale per scindere le proprie responsabilità dai guai giudiziari del premier o, in Campania, di Nicola Cosentino.
Sarà pur vero che, con il comunismo, è passato di moda anche il rito dell’autocritica. E tuttavia la facilità con la quale, nella Seconda Repubblica, si cambia non soltanto una casacca, ma l’intero armamentario dei valori è sorprendente. Forse Fini e Bocchino dovrebbero dire se, a loro giudizio, la maggioranza — all’interno della quale continuano tuttora a gestire la Campania, le sue province e innumerevoli comuni — sia o meno infiltrata dai «delinquenti» cui allude il presidente della Camera. Uscendone quanto prima, ove mai avessero prove o soltanto sospetti. Non si può diventare cavalieri senza macchia e senza paura con una semplice dichiarazione d’intenti (e continuando a risiedere nel grand hotel dei corrotti).
La politica, notoriamente, usa a piene mani il linguaggio della propaganda. Ma la legalità è una risorsa troppo importante — soprattutto nel Mezzogiorno— perché ci si giochi a rimpiattino
Condividi [3]Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=2687 [4]