Oltre cinquecento donne sono state aggredite e molestate sessualmente a Colonia durante i festeggiamenti di Capodanno da uomini “stranieri” in stato di ebbrezza. Dalle indagini non risulta che gli attacchi siano stati «organizzati o guidati». Eppure la violenza di genere è pratica diffusa di violazione dei diritti umani in contrasto con i principi di dignità, riservatezza, diritto contro la tortura, trattamenti inumani o degradanti e la non discriminazione. Nei conflitti armati è una tattica comune di guerra contro “obiettivi civili”. Si stima che durante il conflitto in Bosnia nei primi anni '90 sono state violentate tra 20.000 e 50.000 donne, e durante il genocidio del 1994 in Ruanda tra 250.000 e 500.000 donne.
Di fatto i corpi delle donne sono luoghi privilegiati di uno scontro "patriarcale" e "tribale" prima che (s)oggetto di politiche migranti e di frontiera, conflitti che affondano le radici in credenze culturali "proprie" degli Stati cosiddetti democratici e internazionali, normalizzate e amplificate dai media. Lo stupro (carnale) è criminalizzato in tutti i 27 Stati membri dell'UE ma le definizioni giuridiche di altri atti di violenza (domestica), schiavitù, abuso, prostituzione e maternità forzata, molestia sessuale, là dove riconosciute, non sono nette e armonizzate. Ogni anno 180.000 donne rischiano e subiscono la mutilazione genitale femminile nell'UE.
Solo nel 2009, la risoluzione del Parlamento europeo sulla eliminazione della violenza contro le donne ha esortato gli Stati membri a riconoscere gli atti di violenza sessuale contro le donne. Mentre la Risoluzione 1325 [1] (2000) adottata dal Consiglio di Sicurezza nella sua 4213a sessione ha chiesto misure di protezione per le donne e ragazze contro la violenza di genere nei conflitti armati - oramai sempre piu' sofisticati – e post-conflitto: una violenza che può e dovrebbe già costituire un crimine di guerra e un crimine contro tutta l'umanità.