L’irragionevole durata del processo è il cancro che corrode lo stato di diritto in Italia e tutto ciò che è stato fatto dal legislatore per rispondere alle condanne seriali che l’Europa infligge da decenni al nostro Paese non solo non ha aggredito la malattia che ormai devasta il corpo dell’amministrazione della giustizia, ma assume il connotato della beffa laddove i risarcimenti previsti dalla “legge Pinto” (L. n. 89/2001) per indennizzare il cittadino vittima della giustizia lumaca divengono sempre più irraggiungibili (vedi Legge di stabilità 2016) generando essi stessi un contenzioso incredibilmente lungo.
È di questi giorni la notizia della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la parte in cui la Legge Pinto determina in tre anni la ragionevole durata del procedimento finalizzato ad ottenere il ristoro dai ritardi della giustizia. E i termini massimi sono stabiliti dalla stessa Corte EDU in due anni, non in tre. Un altro schiaffo inflitto dalla Consulta al legislatore italiano sempre più nemico dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 6) e dalla stessa nostra Costituzione laddove, all’art. 111, secondo comma, stabilisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.”
Quel che fa più male è che questi principi (antropologicamente popolarissimi) siano sostenuti - per farli vivere e far finalmente “principiare” qui ed ora il bene per cui sono nati - solo da Marco Pannella e dal Partito Radicale.