Ci ha lasciato il 18 maggio 1988, stroncato da un tumore, conseguenza – si può fondatamente ritenere – anche di un lungo, ingiusto, doloroso calvario patito. Enzo Tortora è arrestato nel cuore della notte, ed “esibito” ore dopo con le manette ai polsi, quando si è ben sicuri che TV e giornalisti sono “in posizione” da ripresa; e bisognerebbe sapere chi ha dato quell’ordine, che porta alla prima di una infinita serie di mascalzonate. Ora, oggi, tutti lo difendono Tortora; ora, oggi, tutti si sentono in diritto di parlare per lui, su di lui. Conservo parecchie sue lettere, le scriveva dal carcere. Le rileggo: ancora, dopo anni, corre un brivido.
“Da tempo volevo dirti grazie. Hai scommesso su di me, subito: con una purezza e un entusiasmo civile che mi commossero immensamente. Vincerai, naturalmente, la tua puntata. Ma a prezzo di mie sofferenze inutili e infinite. Se dal mio male può venire un po’ di bene per la muta, dolente popolazione dei 40mila sepolti vivi nei lager della democrazia, e va bene, mi consolerà questo”.
“…Non è vero che l’Italia ‘ha abolito la pena di morte’. Abbiamo un boja in esercizio quotidiano, atroce, instancabile. Ma non vogliamo vederlo. La sua scure si abbatte, ogni minuto, sul corpo di uomini e di donne, e li squarta vivi, in “attesa” di un giudizio che non arriva mai…”.
“…In questa gara, tra chi pianta più in fretta i chiodi, come al luna park dell’obbrobrio giudiziario, e i pochi che si ribellano, sta tutta la mostruosa partita. Vedere a che lurido livello s’è ridotta la dignità di questo Paese è cosa che mi annienta più d’ogni altra. So che sei coi pochi. Da sempre. Te ne ringrazio, fraternamente”.
Chi legge questi brani di lettere mandatemi da Tortora dal carcere, sta male? Francamente, me e glielo auguro.
Fonte: http://www.radicalparty.org/it/content/enzo-tortora-lettere-dal-carcere [1]