Caro Marco,
volevo portarti Margherita (mia figlia, nata tre mesi fa) per una specie di battesimo laico in cui tu la prendi in braccio e la ungi con la Coca Cola, ma mi sono accorto che sarebbe stata “solo” una scusa per venirti a trovare. Inoltre mi dicono che ti stanchi facilmente, ora. Così ti scrivo ed è meglio, perché io sono un timido, un sociopatico che si ripara dietro le parole. Mi chiamo Stefano e di mestiere racconto storie.
Sono cresciuto con Radio Radicale e le parole tue e di chi nel tempo ha incarnato lo spirito radicale, nel quale mi riconosco, mi hanno formato e supportato.
In un libro che ho scritto l’anno scorso e che si chiama La vita è una pizza c’è una pagina a cui tengo molto e che ti allego; è breve e spero che non ti stanchi a leggerla (o ascoltarla letta).
Vorrei ricordare le volte in cui ci siamo incontrati ma esse si riducono a due e hanno avuto il seguente tragico andamento:
Prima volta, Palazzo ex Stelline, primo periodo Berlusconi, sembrava tutto destinato a migliorare. Rara occasione di vederti a Milano.
Io ti incontro grande e grosso in mezzo alla folla e ti dico “Ciao Marco! Il futuro Ministro degli Esteri!” E tu mi guardi e dici “Ma me tocco li cojoni!” (perché non sei superstizioso però quando ce vò ce vò, pare).
Seconda volta, al telefono. Filo diretto notturno con te in occasione di un referendum (non ricordo quale) la sera prima del voto. Io prendo coraggio e chiamo. Pronto Marco? Dico. Ciao. Mi dici tu. Ciao, volevo dirti che io domani non voto perché sono appena arrivato al mare, però ti giuro che ho convinto almeno tre persone ad andare a votare, vedrai che il quorum lo raggiungiamo!
E tu, dopo una piccola pausa, dici: “Mavvaffanculo telefoni per dire che stai al mare, ma tugguarda che stron…” poi ho spento il telefono, porca puttana ci sono rimasto dimmerda, però avevi ragione telefonavo per lavarmi la coscienza.
Vabbè, io le battaglie le faccio combattere ai personaggi che mi invento come il Gatto Morto, che fa ridere la gente e intanto dice che la droga andrebbe legalizzata. Ognuno fa quel che può.
Sento che sei malato. Lo sei da tempo. Io in realtà non sono preoccupato per te, perché tu sei immortale, questo ormai è chiaro. Sono preoccupato piuttosto per i cancri che ti hanno scelto. Hanno proprio sbagliato obiettivo e se la passano male. PORACCI.
QUESTA NON E’ UNA LETTERA DI COMMIATO, Marco, è solo il modo per abbracciarti e presentarti mia figlia: Margherita America D’Andrea, e la mia compagna Betta.
Io non sapendo che nomignolo dare a mia figlia, quando non la chiamo Margherita la la chiamo Pannella, che non è un diminutivo ma mi fa ridere. Ultimamente la chiamo anche Pannellina. E quando sono insieme, mia figlia e la mia compagna, le chiamo Pannelline.
Sei di famiglia, Marco. In casa mia di ascoltatore di Radio Radicale, e in casa di chissà quanti altri.
Io ti ringrazio per questo, e ti assicuro di una cosa, Marco: che io sono e sarò speranza, finché sarò. E proverò a insegnarlo anche alla Margherita.
Un abbraccio forte
Stefano
Fonte: http://www.radicalparty.org/it/content/caro-marco-volevo-portarti-margherita [1]