
Il 7 dicembre 2004 Luca Coscioni si rivolgeva agli studenti dell'Istituto Tecnico Commerciale di Agrigento con queste parole: “Non mi sento libero. Non sono libero. Non posso camminare con le mie gambe, non posso parlare con la mia voce, non posso mangiare con la mia bocca, non posso veleggiare con il mio catamarano giallo verso l’Isola del Giglio. Ho perduto il bene più prezioso: la libertà personale. Sì per dirla con le parole di un famoso compositore italiano, Mogol e con la musica di Lucio Battisti: è una vela la mia mente, prua verso l’altra gente, vento magica corrente. Ecco, è proprio il vento a mancarmi. Del resto, la mia mente era già vela verso l’altra gente. La malattia mi ha sottratto il vento e la corrente magica, che scorre tra Punta Lividonia e Giglio Porto. La percezione della mia realtà, la realtà nella quale oggettivamente vivo, le aspettative che ho, di poter modificare il suo andamento, lasciano poco spazio alla libertà. Né mi consola il fatto, di sapere che la maggior parte delle persone, non è libera pur potendolo essere. Per non farla troppo lunga, combatto per la libertà, da malato, da politico, come solo chi ne è stato privato è capace di farlo, per la libertà di scienza, per la libertà di ricerca, per la libertà di coscienza, per quel valore di libertà che non può essere teorizzato, ma semplicemente e dignitosamente vissuto. Ma non posso aspettare. Non posso aspettare le scuse di uno dei prossimi Papi”.
A 9 anni dalla sua morte, l'urgenza di Luca Coscioni deve tornare ad essere una nostra urgenza. Il suo pensiero e la sua coraggiosa lotta politica condotta da militante-dirigente radicale devono suonare come un monito per tutti noi. Devono spronarci ad essere, ancora di più e ancora meglio, radicali. A non mollare.
Sergio Ravelli