
Martedì 7 febbraio, alle ore 12.30, la Commissione svolgerà l’audizione di Maurizio Bolognetti, nell’ambito della discussione delle risoluzioni 7-00706 Zamparutti e 7-00722 Margiotta sul funzionamento dell’impianto del termovalorizzatore “Fenice” di Melfi.
Fonte Agenparl [2]
Il Caso Fenice/Arpab di Maurizio Bolognetti
È il 13 ottobre 2011 e i titoli della stampa lucana sintetizzano i clamorosi sviluppi del caso Fenice, l’inceneritore di proprietà della multinazionale francese Edf, ubicato nella piana della città di Melfi. E’ accaduto l’impensabile. Dopo un’indagine durata quasi 3 anni e passata dalla sonnacchiosa procura di Melfi alla Procura di Potenza, finiscono agli arresti domiciliari, su richiesta del PM Salvatore Colella, l’ex direttore dell’Arpa lucana Vincenzo Sigillito e il coordinatore provinciale della stessa agenzia Bruno Bove. Le accuse contenute nel procedimento n° 414/09 sono gravissime e vanno dal reato di falsità ideologica a quello di rivelazione del segreto d’ufficio, dall’omissione di atti d’ufficio al disastro ambientale. Esattamente i reati che a ripetizione avevamo contestato a partire dal 2009, anche con esposti indirizzati alla Procura della Repubblica. Ad essere coinvolti nell’inchiesta, oltre ai vertici Arpab, anche un funzionario del Dipartimento ambiente della Regione Basilicata e un funzionario del dipartimento ambiente della Provincia di Potenza, con questi cinque responsabili dell’inceneritore, succedutisi alla guida dell’impianto, e la stessa Fenice Spa, trasformatasi qualche mese prima in SRL. Nelle settimane precedenti il provvedimento emesso dalla Procura di Potenza, manco a dirlo, sulla stampa lucana tocca leggere interventi rubricabili alla voce “chiamata di correo” e all’insegna dell’antico gioco dello scarica barile: nessuno sapeva e nessuno aveva visto. A settembre 2011, i dati dei monitoraggi della matrice ambientale acqua del quinquennio 2002-2007, negati per anni, nascosti, quelli che non esistevano, saltano finalmente fuori. Le cifre riportate nelle 29 tabelle testimoniano di un inquinamento protrattosi per quasi dieci anni grazie ad un silenzio complice e omertoso, che ha coinvolto l’Agenzia per l’ambiente, i lottizzati dipartimenti regionali e provinciali e assessori piuttosto distratti.
Le tabelle sono un bollettino di guerra: nelle falde acquifere del fiume Ofanto, a partire dal 2002, si registra la presenza di Nichel, Cromo, Piombo e Mercurio, con il sospetto che altri inquinanti non risultino semplicemente perché non ricercati. Dall’inchiesta salta fuori di tutto, anche il fatto che il figlio del sostituto Procuratore della Repubblica di Melfi, Renato Arminio(titolare di un fascicolo su Fenice), sarebbe stato tra i soci della “Ecology services”, un’azienda che si è occupata dello smaltimento delle ceneri di Fenice. Ma le cose più gustose anche in riferimento all’iniziativa Radicale emergono dalle intercettazioni. E’ così quando leggiamo che in una conversazione Sigillito afferma: “Bolognetti può dire quello che vuole. Non è un mio interlocutore.” E con lo stesso direttore dell’Arpab che in altra conversazione dichiara che “non è che nu Bolognetti qualunque è capace di capire i dati”. Lo stesso Sigillito esplicita poi il suo concetto di trasparenza in un conversazione, datata 17 ottobre 2009, nella quale parla dei dati Arpab: ”Sì ma u problema sai qual è? Che dovrei mettere i valori di riferimento, cosa che io non voglio mettere: ognuno se li deve studiare… se è capace poi di capire…dove è scritto che devo mettere i riferimenti?” Dove è scritto? E’ scritto per esempio nel piano di monitoraggio approvato nel dicembre del 1999 dalla Giunta regionale di Basilicata, che parla della necessità “di offrire alla popolazione uno strumento che permetta tra l’altro una semplice interpretazione ecologica delle informazioni”. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la lottizzazione e gli effetti perversi di un sessantennio partitocratico che ha sostituito la Costituzione scritta con la costituzione materiale. E così Sigillito, padre padrone ed esecutore materiale di ordini, arriva a chiedersi “dove sta scritto”. Fatto sta che la Procura di Potenza, nell’ordinanza che manda agli arresti domiciliari Vincenzo Sigillito e Bruno Bove, scrive: ”Alla base del disegno criminoso, vi è un atteggiamento favorevole al prosieguo dell’attività di Fenice a discapito non solo dell’ambiente, ma anche della salute umana.” A novembre, lo stesso avvocato della Regione Basilicata, Anna Possidente, in una udienza davanti al Tar Basilicata, chiamato a decidere sulla sospensione delle attività dell’impianto di incenerimento disposta dalla Provincia di Potenza(per la serie meglio tardi che mai), deposita una memoria nella quale si legge che “da un’attenta lettura dei verbali di diverse conferenze di servizio emerge che non c’è mai da parte dei soggetti coinvolti un parere chiaramente ed inequivocabilmente favorevole alla prosecuzione senza rischi dell’esercizio dell’impianto.” Già, ma allora perché nessuno prima del 12 ottobre 2011 ha battuto i pugni sul tavolo facendo valere le ragioni degli avvelenati abitanti del Vulture? Di certo a tutt’oggi Fenice continua ad operare in assenza dell’AIA(Autorizzazione integrata ambientale); vicenda quest’ultima che ha contribuito, insieme ad altre, a far guadagnare all’Italia una condanna da parte della Corte di Giustizia Europea per violazione della Direttiva 2008/1/Ce sulla prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento. In Basilicata, come confermato dalla determina dirigenziale 7502 del maggio 2011, sono oltre venti gli impianti che operano in assenza di AIA. La Regione Basilicata è una delle cinque regioni italiane che ha fatto guadagnare all’Italia la condanna per la violazione della sopra citata direttiva. Ma solo questa vicenda meriterebbe un trattato.
Le responsabilità della “Seveso lucana” vanno emergendo prepotentemente. In nome di inconfessabili interessi si è consentito ai proprietari del termodistruttore di San Nicola di Melfi di avvelenare le falde acquifere per quasi 10 anni. Nel caso Fenice/Arpab troviamo impressi gli inequivocabili segni della Peste Italiana e - per dirla con Marco Pannella - della strage di legalità che si fa strage di popoli, in un paese che in materia di tutela ambientale, e quindi della salute umana, è uno Stato canaglia pluricondannato dall’Unione europea. La silenziosa “Seveso lucana”, sviluppatasi nell’arco di un decennio, ci parla anche di questo e di un magistrato “responsabile” che non ha voluto fermarla - come da noi richiesto - nel marzo-aprile del 2009. Ci sono voluti tre anni di lotte e denunce, interrogazioni e sit-in, ma alla fine il bubbone è esploso. Speriamo solo di non dover assistere all’ennesimo procedimento in materia ambientale che finisce in prescrizione. Non sarebbe la prima e nemmeno l’ultima volta nell’Italia dell’amnistia clandestina e quasi sempre di classe, dove con ogni probabilità anche il processo cosiddetto Bassolino-Impregilo è destinato a concludersi con un nulla di fatto, senza assoluzioni e senza condanne.
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